Come gli armenti.
Prajāpati emette le geniture
(o le creature):
PB,
7, 5, 1-3. Emesse, loro erano felici. (...) Emesse, loro erano
andate via da lui. Prendeva (...) i loro prāṇā. Prese nei prāṇā, loro tornavano ancora vicine a lui. Dava
(...) loro ancora (indietro, punaḥ) i prāṇā. Loro erano insorte (o si erano sollevate,
ud ... ayodhaṁs) contro di lui.
Spezzava (...) le loro collere. In questo modo, infatti, loro rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya. I
pari (samānāḥ) rimangono con colui
il quale così conosca, per il śraíṣṭhya.
Le
geniture sono per Prajāpati e così i pari sono per colui il quale così conosca.
Le geniture sono come
gli armenti, per Prajāpati:
PB,
7, 10, 13 e 14. Prajāpati emetteva gli
armenti. Emessi, loro erano andati
via da lui. Si rivolgeva a loro, con questa melodia. Loro rimanevano con lui. Loro divenivano sottomessi. (...) Con il desiderio di
armenti, può cantare (per se stesso), con questa (melodia). Diviene provvisto
degli armenti.
Le geniture sono per Prajāpati e il migliaio di vacche è per i Devā. Le geniture
sono come gli armenti:
JB, 2, 254. (Il migliaio di vacche) diceva: “Infatti, sono spaventato
dalla diminuzione”. “No”,
dicevano (i Devā), “Infatti, ti
divoreremo, in modo tale che – per quanto mangiato, bevuto – non diminuirai per noi”. A lui – “Infatti, che (voi) mi
promettiate!” – promettevano, (con la melodia) con il finale ṛtá. (Con la melodia) con il finale ī, (lo) divoravano (āvayan).
(Con la melodia) con il triplice finale, e lo inducevano a generare (pra ... ajanayann) e per lui facevano l’ákṣiti. Il migliaio – per
quanto mangiato, bevuto – di colui il quale così conosca non diminuisce.
PB,
21, 2, 1 e 2. Prajāpati emetteva (asṛjata) le geniture. Emesse, loro andavano
lontane da lui, spaventate: “Ci
divorerà”. Egli diceva: “Che torniate
vicine1 a me!
Infatti, vi divorerò, in modo tale che – per quanto divorate – più numerose [abbondanti] genererete”. A loro – gli avevano
detto: “Prometti!” – prometteva, (con la melodia) con il finale ṛtá. (Con la melodia) con il finale ī, (Prajāpati) (le)
divorava (āvayat).
(Con la melodia) con il triplice finale, (le) induceva a generare (prājanayad). Con queste melodie,
Morte2 qui e divora le
geniture e (le) induce a generare
(pra ... janayati). (Il migliaio di vacche) – per quanto divorato – di colui il
quale così conosca diviene numeroso [abbondante].
Il brāhmaṇá e il rājanyá sono come Prajāpati. Le geniture sono solo
il suo cibo e, come gli armenti, generano,
per Prajāpati; perciò, il vaíśya
è
solo il loro cibo e, come gli
armenti, genera, per il brāhmaṇá e per il rājanyá: «Perciò, il vaíśya3 – per quanto divorato
– non diminuisce. Poiché è emesso
dal membro. Perciò, inoltre, è con
un armento numeroso. Poiché i Víśve-Devā (sono la sua
divinità) (e) jágatī (è il suo metro). Poiché
le Piogge sono la sua stagione. Perciò, è il divorato (ādyo) e del brāhmaṇá e
del rājanyá. Poiché è
emesso più in basso (di entrambi)» (PB, 6, 1, 10). Gli armenti
sono solo il suo cibo e così generano per l’uomo. E per i Devā:
PB,
10, 12, 2. Così (con questo svārá), i Devā vedevano
gli armenti. (...) Così, (li) lasciavano andare (ud ... asṛjanta).
(...) Così, i Devā davano (prāyacchan) il cibo da questi mondi agli armenti. (...) Così, (li)
sottomettevano (upa ... aśikṣan).
(...) Così, (gli armenti) concepivano (garbhāṁs ... adadhata). Li (...) inducevano a generare (o a nascere, prājanayan).
Come
gli armenti, le geniture ricevono
il cibo di Prajāpati:
PB, 8,
8, 14-17. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro erano affamate. Dava (...) loro il cibo. In questo modo, infatti, loro prosperavano. (...) Loro dicevano: “Ci hai ben sostentate”. (...) Dava (prāyacchad) loro la pioggia – il cibo.
PB,
6, 7, 19. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano
andati via da lui, affamati. Dava (prāyacchat) loro un prastará –
il cibo. Loro tornavano vicini a lui.
PB,
6, 7, 18. Infatti, il sacrificio
– divenuto un cavallo – andava via
dai Devā. I Devā lo avevano indotto a stare fermo, con il prastará.
Perciò, il cavallo – strigliato, con il prastará – si delizia.
JB, 3, 147. Prajāpati emetteva le geniture. Le emetteva,
prive del cibo. Loro andavano da Prajāpati. Con questa melodia, dava (prāyacchat) loro il cibo. Loro dicevano: “Infatti,
ci ha dato il vāja4 – il cibo”.
JB,
3, 147. Infatti, il
sacrificio5 andava via
(udakrāmat) dai Devā. Divenuto un’aquila, egli volava in cerchio. I Devā desideravano: “Possiamo afferrare il sacrificio”. (...) Così,
afferravano (ārabhanta) il sacrificio.
Come le geniture tornano da Prajāpati, così le
moltitudini e i congiunti tornano dal
rājanyá e dal brāhmaṇá:
JB,
2, 148 e 149. Allora, divenuto il cibo,
(Prajāpati) fu visto da loro. Le geniture anelanti
al cibo tornarono verso di lui. Il rājanyá dal quale le moltitudini possono andare via, il brāhmaṇá (dal quale possono andare via) i congiunti, costui può sacrificare,
con questo (sacrificio). In questo
(sacrificio), (lo yájamāna) si può richiamare vicino gli officianti.
Infatti, inoltre, gli officianti sono queste moltitudini dello yájamāna. (...)
Allora, in questo (sacrificio), può dare
(dadyāt) molto
cibo cotto. Le geniture anelanti al cibo tornano verso di lui.
TB,
2, 7, 9, 1 e 2. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro andavano lontane da lui. Prajāpati
vedeva l’odaná. Divenuto il cibo,
egli rimaneva. Non (avendo) trovato un cibo altrove, le geniture tornavano vicine a Prajāpati. Divenuto
il cibo, le geniture – vedendo(lo) –
tornano vicine a lui, (a) colui il quale sacrifica, con questo (odaná), e,
inoltre, (a) colui il quale così lo conosca. Divengono (bhavanti, prosperano) tutti i cibi, tutti gli
uomini. Ottiene tutti i cibi, tutti gli uomini.
JB, 2, 139 e 140. Egli (Índra) andava dai Devā: “Con
voi, con la forza, che (io) uccida questo Vṛtrá!”. Gli dicevano: “Infatti, che
(tu) lo dia a noi, questo sacrificio proprio solo a te!”. Perciò, nel rājā desiderante di vincere, le moltitudini aspirano ad un’elargizione. Perciò, inoltre, il rājā
desiderante di vincere dà (prayacchati)
alla moltitudine un’elargizione. (...) Con loro, con la forza, Índra uccideva Vṛtrá. (...) Loro
sedevano (...) vicini a lui: “Che (noi) siamo delle moltitudini, per te! Che
(tu) ci induca ad aver parte (dopo di te) nel sacrificio!”. Come le mogli5 siedono vicine al
marito, allo stesso modo. (...) Come un rājā –
vinto – può indurre i sostentati ad
aver parte nella sua ricchezza (sve vitte), così li induceva ad aver parte (nel
sacrificio).
Prajāpati dà il
cibo alle geniture e così le geniture sono il suo cibo. Índra (il rājā) dà
un pradāna
ai Devā
e così i Devā (le moltitudini) sono suoi.
Gli armenti sono ottenuti, con il cibo. Le moltitudini e i congiunti – per il rājanyá e per il brāhmaṇá –
sono come le geniture – per Prajāpati – e le geniture
sono come gli armenti. Le geniture
sono ottenute da Prajāpati, con il cibo; con il cibo, e come gli armenti, le moltitudini e i
congiunti sono ottenuti dal rājanyá e dal brāhmaṇá; con il cibo, sono ottenuti tutti gli uomini, insieme con
tutti i cibi; con un pradāna, i Devā sono ottenuti da Índra.
KS,
36, 5. Emesse, (...) Váruṇa afferrava la giovinezza in loro (= nelle geniture). Allora
dissero: “Infatti, loro lo (= Prajāpati, MS, 1, 10, 10) avevano offeso.
(Prajāpati) induceva Váruṇa ad
afferrarle – offensive”. Perciò,
il padre non è offeso.
JB,
2, 100. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro non lo rispettavano. Egli desiderava: “Posso raggiungere il
rispetto in queste geniture”. (...) In questo modo, infatti, loro lo
rispettavano. Infatti, inoltre, i Devā
non rispettavano Índra. Egli andava da Prajāpati: “Infatti, i Devā non mi
rispettano”. Gli dava (vyadadhāt) questo sacrificio (per) il rispetto. (...) In questo modo, infatti, i Devā
lo rispettavano.
Prajāpati
ha il ‘potere’ su tutte le geniture e così dà a Índra il ‘potere’ sui Devā
(sulle moltitudini).
JB, 1, 117 e 118. In quanto loro –
le geniture completamente soddisfatte (saziate con il cibo, con la pioggia),
sfamate – lo (= Prajāpati) esaltavano (āmahīyanta,
onoravano), è ciò che dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava. I sostentati – completamente soddisfatti
– lo esaltano, colui il quale così conosca – completamente soddisfatto6 (con il cibo). Loro – trovato il cibo – non lo
rispettavano. (...) Egli era afflitto. Egli non era felice. (...) Loro
andavano nel suo potere. (...) In quanto egli (le) vedeva felici, è ciò che
dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava. Inoltre,
in quanto, resele nel (suo) potere, (Prajāpati) era felice, è
ciò che dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava.
Il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono come Prajāpati. Le geniture sono il cibo per
Prajāpati. Così, gli armenti e
le moltitudini sono un cibo situato
davanti al brāhmaṇá e allo kṣatrá. Le moltitudini sono come gli
armenti:
ŚBK, 4, 9, 1, 14. Índra è lo kṣatrá. I Víśve-Devā sono le moltitudini. Infatti, inoltre,
le víśaḥ (le moltitudini, i popoli)
sono il cibo. Rende il cibo davanti
(di fronte, purástād) allo kṣatrá. Perciò, lo kṣatríya è un divorante. In
quanto il cibo (= le
víśaḥ) diviene situato davanti (a
lui), situato nella bocca di lui
(asya, dello kṣatrá).
TS, 2, 2, 11, 5 e 6. Loro (i Devā) – non rimanenti
l’uno con l’altro, per il jyaíṣṭhya – andavano via (divisi) in quattro. (...) Índra
andava da Prajāpati. Lo induceva a
sacrificare, con questa (offerta), per la consonanza. (...) In questo modo, i Devā
erano acquiescenti a Índra, per il jyaíṣṭhya. (...) Divenuto Índra, i pari sono acquiescenti a lui, per il
jyaíṣṭhya; diviene il migliore dei pari.
ŚBK, 4, 9, 1, 10. Infatti,
Bṛ́has-páti è il brahmán. (...) Perciò, il brāhmaṇá (è colui il quale) ha più potere sugli armenti. In
quanto gli armenti divengono situati davanti (a lui),
situati
nella bocca di lui (asya, del brāhmaṇá). Poiché, inoltre, dato
tutto (al brāhmaṇá), (lo yájamāna) erra, (vestito con una pelle,
M, 3, 9, 1, 12).
Solo
il cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá è situato davanti
al brāhmaṇá e allo kṣatrá. Le geniture sono
per Prajāpati e così i Devā sono per Índra. Come tutte le geniture sono solo per
Prajāpati, così gli armenti e le moltitudini sono per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá. Solo se sono rese come gli armenti, le moltitudini sono per lo kṣatrá:
ŚBK,
4, 9, 1, 3. Sacrificato con questa (ekādaśínī), (Prajāpati) accresceva (o
riempiva) ancora se stesso. Le geniture tornavano
insieme vicine a lui – rimanevano con
lui, per la śrī, per il cibo.
ŚBK, 4, 7, 3, 8. Con il brāhmaṇá, i Devā li (= gli
armenti) afferravano (o circondavano, páryagṛhṇanta; páryadadhus, M,
3, 7, 3, 13) – non
rimanenti – da lontano. Così (táthā), (gli armenti) non erano andati oltre (atyāyaṁs).
ŚBK,
4, 4, 2, 1 e 2. Loro (i Devā) – non rimanenti l’uno per il śraíṣṭhya
dell’altro – non concordavano. Loro andavano via (divisi) in quattro.
(...) “Avanti, che (noi) concordiamo!”. (...) “Che (noi) rimaniamo per la śrī
di uno solo!”. Loro – tutti i Devā (i Víśve-Devā) – rimanevano7
per la śrī di Índra.
MS,
4, 7, 8. Emesse le geniture, Prajāpati si pensava svuotato. Egli vedeva questa ekādaśínī. Con questa (ekādaśínī), gratificava se stesso. (...) Ha
condotto (átyauhīd)
il brahmán davanti (di fronte, purástād) a queste geniture (o a questi uomini). Allora
rende queste geniture assoggettate
(ánukāḥ) al brāhmaṇá. (...) Avvince la moltitudine allo kṣatrá. Allora rende la
moltitudine assoggettata allo
kṣatrá.
KB, 12, 8. Così,
infatti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá, e con lo kṣatrá
e con il brāhmaṇá, Prajāpati giungeva ad afferrare (o a circondare) da entrambe
le parti, ad ottenere il cibo.
Soltanto gli armenti, le moltitudini sono per il brāhmaṇá, per lo kṣatrá e così c’è più
cibo per Prajāpati (anzitutto gli armenti, le moltitudini generano, abbondanti). Prajāpati divora
le geniture e, per Prajāpati, le geniture sono come gli armenti.
ŚBM, 3, 9, 1, 2 e
3. Egli (Prajāpati) rifletteva: “Io (mi) sono esaurito. Inoltre, il desiderio –
il desiderio per il quale ho emesso (le
geniture, K, 4, 9, 1, 2) – non è stato soddisfatto (raggiunto) per me: le geniture sono divenute lontane da me – le geniture non sono rimaste con me, per la śrī, per il cibo!”. Prajāpati rifletteva: “In
quale modo posso accrescere (o riempire) ancora me stesso? Le geniture possono tornare insieme vicine a me –
le geniture possono rimanere con me,
per la śrī, per il cibo8!”.
ŚBM, 7, 5, 2, 6 e
7. All’inizio, Prajāpati era
qui, unico. Egli desiderava: “Posso emettere il cibo. Posso generare”.
Egli produceva gli armenti dai prāṇā. (...) Emesso il cibo (= gli armenti), se (lo) poneva – da
davanti a dietro – in se stesso.
ŚBM,
10, 6, 5, 1-5. All’inizio, quaggiù non vi era niente. Questo (tutto) era
avvolto da Morte; da Fame (era avvolto), poiché Morte è Fame. (Morte) si
costituiva Mente: “Posso essere, provvisto di un ātmán” (Pur essendo l’ásat, si costituiva Mente: “Posso essere”, TB, 2,
2, 9, 1). (...) Egli (Morte) desiderava: “Può nascere per me un secondo
ātmán”. Attraverso Mente, egli diveniva un’unione con Parola; Morte, con Fame.
Ciò che era il réta diveniva l’Anno. (...) Lo (= il réta) portava tanto quanto
è il tempo di un anno9.
Alla fine di tanto tempo, lo emetteva. Nato
(Prajāpati-Saṃvatsará), (Morte) apriva la bocca su di lui (per
divorarlo). (...) Egli (Morte) rifletteva: “Se ucciderò (ora10) questo (Prajāpati-Saṃvatsará), renderò esiguo il (mio) cibo!”. Con questa Parola, attraverso
questo ātmán (Prajāpati-Saṃvatsará), egli (Morte) emetteva questo tutto (...) la
genitura, gli armenti. Ciò
che emetteva, egli (Morte) era risolto a
divorarlo.
Questo tutto è il
cibo, per Morte; così, le geniture e gli armenti sono il cibo, per Prajāpati;
così, gli armenti e le moltitudini sono il cibo, per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá. Morte
emette tutto – per divorarlo.
Prajāpati genera le geniture, gli armenti – per divorarli. Il cibo in un anno è per Prajāpati:
ŚBM, 4, 6, 4, 1-3.
Infatti, le membra di Prajāpati – emesse le geniture – si disfecero. Con le
membra disfatte, egli non fu in grado di sollevar(si). (...) Così, (i Devā)
riunivano le sue membra. Con le membra raccolte, egli (Prajāpati) avvicinò qui
il cibo – il cibo che è qui di Prajāpati. (Così, egli diveniva un divorante, K,
5, 7, 4, 3) (...) Come Prajāpati – emesse le geniture – era, così
divengono coloro i quali stanno (nel
sattrá)
per un anno. Come Prajāpati in un anno
avvicinava il cibo, così in un anno avvicinano il cibo, coloro dei quali, così
conoscendo, prendono questa presa.
ŚBM, 4, 6, 9, 1 e 2. Infatti, i Devā stavano (nel) sattrá:
“Possiamo
raggiungere la śrī. Possiamo essere gloriosi. Possiamo essere divoranti”. Il cibo ottenuto desiderava di andare via da loro. Gli armenti sono
il cibo. Gli armenti desideravano di andare via da loro: “Infatti, in quanto questi (Devā) sono estenuati, ci possono ferire! In quale modo ci tratteranno?”. (...) Li avevano messi nelle dimore.
In questo modo, il cibo ottenuto11 non andava via da loro.
ŚBM, 2, 4,
4, 1. All’inizio, con il desiderio di geniture, Prajāpati sacrificò, con questo
sacrificio: “Posso
essere molteplice, attraverso la genitura, attraverso gli armenti. (Posso
generare, K, 1, 3, 4, 1). Posso
raggiungere la śrī. Posso essere glorioso. Posso essere un divorante12”.
Note.
1 Le geniture e gli
armenti tornano vicini a Prajāpati, poiché sono il cibo per lui: «Colui il
quale, così conoscendo, si rende rasato, divenuto
Prajāpati, divora le geniture. Le geniture rimangono (tíṣṭhante) con lui, per il cibo. Diviene un divorante» (TB, 2, 2, 10, 7).
2 Ma in ŚBM, 8, 4, 3, 1. «Infatti, sottratti tutti gli esseri a
Morte – al male –, Prajāpati desiderava: “Posso emettere le geniture. Posso
generare”». Morte successivamente è l’avversario di Prajāpati.
3 «Perciò,
inoltre, (il vaíśya) è prolifico. Poiché (Prajāpati) lo
emetteva dal ventre – dal membro» (JB, 1,
69). «Perciò,
loro sono i divorati. (...) Perciò, sono più
abbondanti degli altri» (TS, 7, 1, 1, 5).
Il brāhmaṇá ha più potere sugli armenti (ŚBK, 4, 9, 1, 10). Perciò, per il brāhmaṇá, il
vaíśya è come gli armenti (e il
brāhmaṇá ha potere sul vaíśya).
«Perciò, inoltre,
il rājā (lo kṣatríya, il rājā, K, 2, 3, 1, 12) soggioga una
moltitudine illimitata, stabilito anche in un’unica sede. Si procura come
desidera. (...) Perciò, queste moltitudini portano un omaggio allo kṣatríya.
(...) Perciò, inoltre, (fino a che) è nel volere dello kṣatríya,
gli armenti rimangono vicini (o servono) al vaíśya. (...) Perciò, inoltre,
quando lo kṣatríya desidera, allora dice: “Ciò che è messo
da parte lontano per te, vaíśya, che (tu) lo porti
per me!”. Lo soggioga. Si procura come desidera» (ŚBM, 1, 3, 2, 14 e 15).
L’uomo ‘superiore’
è un divorante – come Prajāpati – e un predatore: «Ricopre (il rājanyá) con la
pelle di una tigre. (...) La tigre è lo kṣatrá degli animali della foresta. Il rājanyá è lo
kṣatrá» (AB, 8, 6). «Rende lo kṣatrá con più vigore della moltitudine. La moltitudine è con
meno vigore dello kṣatrá» (ŚBM, 9, 4, 3, 4).
Il brāhmaṇá (Tāṇḍya) ha ‘potere’ sugli
armenti e come puróhita istruisce
lo kṣatrá sul ‘potere’ sulle moltitudini:
gli armenti e le moltitudini sono identici:
la moltitudine – ridotta ad un armento – può essere
solo più numerosa del divorante – lo kṣatríya
– e così il rāṣṭrá si accresce (ŚBM, 6, 1, 2, 25).
4 L’alimento. «Infatti, il vāja
è il cibo. Infatti, quando la vacca, il cavallo, l’uomo diviene completamente soddisfatto
del cibo, allora egli diviene provvisto della forza (vājī)» (JB, 3, 151). Così, KS, 21, 7. «Prajāpati emetteva le geniture. Loro erano affamate. Dava loro il cibo. Loro dicevano: “È
divenuto il nostro cibo”».
5 «Infatti, il sacrificio andava via dai Devā. Egli – assunta la forma di un’aquila –
errava. Con queste melodie, i Devā lo afferravano (ārabhanta)» (PB, 14, 3, 10).
– Anche TS, 6, 5, 1, 4. «Perciò, i molti
seguono uno solo mentre va. Perciò, uno solo diviene grande tra i molti.
Perciò, uno solo trova molte mogli».
6 Prajāpati
può soddisfare le geniture e così può essere soddisfatto dalle geniture (dal
suo cibo). Altrove, Parola – l’aspetto femminile di Prajāpati – dà la pioggia: «Ella è questo fulmine che crepita: “Da da
da da da da”. “Che (io) dia! Che (io) dia!”. Dà la pioggia – il cibo – alle
geniture. Questa divinità dà la pioggia – il cibo – a colui il quale così conosca» (JB, 2, 265). Parola emette le geniture, andata via da Prajāpati: «Ella andava via da lui. Ella emetteva queste
geniture. Ella penetrava ancora Prajāpati» (KS, 27, 1).
Anche MS, 3, 3, 1.
«Prajāpati emetteva le geniture. Loro – emesse – lo disdegnavano. (...) In
questo modo, (le) favoriva (akalpata)». «Emesse, loro incorrevano nella fame.
(...) In questo modo, infatti, (Prajāpati) favoriva le geniture», con il cibo da questi
mondi (TS, 7, 2, 4, 1). Egli dà
il cibo e prende il cibo: «Con l’ílāṃda, (Prajāpati) otteneva da loro
l’alimento raccolto. (...) Diviene l’ílāṃda.
Ottengono dalle geniture emesse l’alimento raccolto» (TS,
7, 5, 9, 1).
7 I Devā
– le moltitudini – vanno via e, attraverso
Bṛ́has-páti, tornano vicini:
«Così, (i Devā) tornavano insieme verso
Índra; erano acquiescenti
a Índra» (MS, 2, 2, 6). «Índra prosperava tra questi (Devā)» (MS, 3, 7, 10). I Devā tornano vicini,
come gli armenti: «Loro (i Devā)
dicevano a Bṛ́has-páti:
“Che (tu) li lasci andare per noi!”. (...) Li lasciava andare, con l’utsedhá; (li) afferrava (o rinchiudeva), con il niṣédha» (PB, 19, 7, 1). Bṛ́has-páti ha più potere sugli armenti e così è
il puróhita
di Índra: come gli armenti, i Devā sono situati
davanti a Índra (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14).
Così, i Devā sono
acquiescenti, attraverso Prajāpati: «In questo modo, i Devā erano acquiescenti a Índra, per il jyaíṣṭhya» (TS, 2, 2, 11, 6). Prajāpati ha il ‘potere’ sulle geniture e così dà a Índra il ‘potere’ sui Devā (JB, 2, 100). Gli armenti sono nel ‘potere’ di Bṛ́has-páti e così i Devā sono come gli armenti: le geniture sono il cibo di Prajāpati e così i Devā sono il cibo di Índra (ŚBK, 4, 9, 1, 3 e
14).
8 Oppure, in
accordo con ŚBK,
4, 9, 1, 2: “In quale modo posso accrescere ancora me stesso, le geniture
possono tornare insieme vicine a me – le geniture possono rimanere con me, per
la śrī, per il cibo?”.
9 «Prajāpati emetteva le geniture. Egli era disgregato. Egli era
caduto. I Devā
andavano insieme verso di lui. Loro dicevano: “Che (noi) raccogliamo per lui un
grande cibo – che lo ristorerà!”. Per lui, (i Devā)
avevano raccolto il cibo che è maturato in
un anno. Glie(lo) avevano dato. Si saziava (dopo il digiuno, avrajayat). Lo ristorava. “Grande invero è il cibo (vrataṃ) che lo ha ristorato”» (PB, 4, 10, 1). Anche TB, 1, 2, 6, 1. «Emesse le geniture, Prajāpati giaceva,
sfatto. Radunato il rása, il téja degli esseri, i Devā lo
(= Prajāpati) curavano, con questo (rása, téja)». Ma in PB, 16, 4, 1. «Egli (Prajāpati) – attratto il rása
di queste direzioni e geniture, fatta (che ne ebbe) una ghirlanda – se (la)
metteva addosso». Anche JB, 2, 409. «Tutte le divinità
– attratto il rása delle direzioni, il rása delle
acque, il rása della sapienza, il rása del cibo – lo (...) avvicinavano,
dicendo:
“Che portiamo il cibo (vrataṃ)
al grande! Che portiamo il cibo al grande!”». Anche ŚBK, 5, 7, 4, 2 e 3.
Il sacrificio (e il migliaio, PB, 9, 1, 35) è il cibo
dei Devā: «Prajāpati – reso se stesso il sacrificio – (lo) dava
ai Devā. Loro non
rimanevano l’uno con l’altro, per l’ágra. Diceva loro: “Che (voi) corriate una corsa per
lui!”...» (PB, 7, 2, 1).
10 Prima che Prajāpati abbia generato.
11 Anche ŚBM, 8, 5,
2, 1. «Infatti, sottratto a Morte – al male –, Prajāpati aspirava al cibo. Perciò,
inoltre, colui il quale arde (per la febbre), divenuto migliore, aspira al
cibo. In lui, sperano: “Aspira al cibo. Vivrà!”. I Devā gli davano questo cibo.
(...) Gli armenti sono il cibo. Questi (armenti) gli erano piaciuti».
12 Anche KS, 34, 13.
«Prajāpati desiderava: “Posso
essere molteplice. Posso essere il migliore. Posso prosperare”».
Commento. I passi ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14 significano sia che il ‘potere’ da Prajāpati (le
geniture rimangono per lui e sono il suo cibo)
è completo – sugli animali-armenti con il brāhmaṇá e sugli uomini-moltitudini con lo kṣatrá – sia che
gli armenti e le moltitudini sono analoghi:
il ‘potere’ sulle moltitudini dello kṣatrá
è analogo a quello sugli armenti del brāhmaṇá: gli armenti e le moltitudini rimangono per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (sono situati davanti a loro e sono un cibo nella loro bocca). I passi ŚBK, 7, 1, 3, 1 e 2 significano sia che gli uomini e gli armenti sono analoghi per il rājanyá (sono solo per l’opera
del rājanyá) sia che il ‘potere’ del rājanyá è completo – sugli uomini e sugli
animali-armenti. Il rājanyá è come Prajāpati (ŚBM, 5, 2, 5, 14)
e ‘unisce’ il brāhmaṇá sugli animali e lo kṣatrá sugli uomini (KB, 12, 8).