lunedì 23 dicembre 2019

Prajāpati e gli armenti (o gli animali).

2.

Prajāpati e gli armenti (o gli animali).

 

1.

Prajāpati emette gli armenti – e, tra essi, l’uomo. Infatti, i cinque armenti sono solo il cibo, per Prajāpati.

 

ŚB

 

ŚBM, 7, 5, 2, 6 e 7. All’inizio, Prajāpati era qui, unico. Egli desiderava: Posso emettere il cibo1. Posso generare. Egli produceva gli armenti (paśūn) dai prāṇā (sensi). (...) Emesso il cibo (= gli armenti), se (lo) poneva – da davanti a dietro – in se stesso. Perciò, chiunque prepari (per se stesso) il cibo, se lo pone – da davanti a dietro – in se stesso.

 

ŚBM, 7, 5, 2, 28. Infatti, quando (yátra) Prajāpati intendeva immolare gli armenti, loro – in procinto di essere immolati – erano afflitti [angosciati, aśocas]. Con questi utsargā1, (Prajāpati) aveva allontanato la loro angoscia – il male. Allo stesso modo, questo (yájamāna), con questi utsargāḥ, allontana la loro angoscia – il male.

 

Per Prajāpati, le geniture sono solo il cibo (ŚBK, 4, 9, 1, 2) e così sono come gli armenti. – L’uomo si distingue dagli altri armenti. Infatti, Prajāpati stesso – divorante – rende l’uomo-mente il divorante degli armenti:

 

ŚBM, 7, 5, 2, 6. In quanto (Prajāpati) li produceva dai prāṇā, perciò dicono: “Gli armenti sono i prāṇā”. (...) In quanto (Prajāpati) costituiva l’uomo dalla mente, perciò dicono: “L’uomo è il primo, il più vigoroso tra gli armenti”. (...) In quanto (Prajāpati) costituiva l’uomo dalla mente, perciò dicono: “L’uomo è tutti gli armenti”. Poiché tutti questi (armenti) divengono dell’uomo. – Anche ŚBM, 7, 5, 2, 14.

 

Il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono come l’uomo-mente sugli armenti. Infatti, Prajāpati – divorante delle geniture – ha reso divoranti il brāhmaṇá e lo kṣatrá: egli ha situato gli armenti e le víśaḥ – come cibo – davanti al brāhmaṇá e allo kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). Gli armenti – nelle dimore – sono il cibo per i Devā:

 

ŚBM, 4, 6, 9, 1 e 2. Infatti, i Devā stavano (nel) sattrá: Possiamo raggiungere la śrī. Possiamo essere gloriosi. Possiamo essere i divoranti”. Il cibo ottenuto desiderava di andare via da loro. Gli armenti sono il cibo. Gli armenti desideravano di andare via da loro: “Infatti, in quanto questi (Devā) sono estenuati, ci possono ferire! In quale modo ci tratteranno?”. (...) Li avevano messi nelle dimore. In questo modo, il cibo ottenuto non andava via da loro.

 

PB – JB

 

PB, 7, 10, 13. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui. Si rivolgeva a loro (tān ... abhivyāharat), con questa melodia. Loro rimanevano (atiṣṭhanta) con lui. Loro divenivano sottomessi.

 

PB, 7, 10, 14. Con il desiderio di armenti, può cantare (per se stesso), con questa (melodia). Diviene provvisto degli armenti.

 

JB, 1, 148. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: “Gli armenti possono non andare via da me. Possono tornare verso di me”. (...) In questo modo, infatti, gli armenti tornavano verso di lui. In questo modo, divenivano coloro i quali non andavano via da lui. Egli diceva: “Ho sottomesso questi armenti!”.

 

JB, 1, 148. Gli armenti – sottomessi – rimangono vicini a lui (o lo servono, upatiṣṭhante). Gli armenti tornano verso di lui. Gli armenti non vanno via da lui, (da) colui il quale così conosca.

 

JB, 3, 230. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: “Gli armenti possono non andare via da me. Possono tornare verso di me”. Egli vedeva questa melodia. Cantava, con questa (melodia). In questo modo, infatti, gli armenti tornavano verso di lui. In questo modo, divenivano coloro i quali non andavano via da lui. Egli diceva: “Questo rayí2 è rimasto (asthād) con me!”.

 

JB, 3, 230. Il rayí rimane (tiṣṭhaty) con lui. Gli armenti tornano verso di lui. Gli armenti non vanno via da lui, (da) colui il quale così conosca.

 

PB, 22, 9, 2. Infatti, (...) Prajāpati emetteva l’uomo (puruṣam). Egli raggiungeva l’ādhipatya3 di tutto il cibo.

 

PB, 22, 9, 3. Colui il quale così conosca raggiunge l’ādhipatya di tutto il cibo.

 

JB, 3, 91. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: Posso dare gli armenti a me stesso (ātman ... yaccheyam)”. Egli vedeva questa melodia. Così, dava gli armenti a se stesso.

 

JB, 3, 91. L’udgātṛ́4 è Prajāpati. Con lo Yaṇva, egli dà gli armenti a se stesso.

 

JB, 3, 256. Prajāpati emetteva il cibo5. Spaventato dalla diminuzione6, (il cibo) andava via nelle direzioni. Egli (Prajāpati) desiderava: “Posso ottenere il cibo”. Egli vedeva questa melodia. Con questa (melodia7): “È rimasto (sthād), qui! È rimasto, qui!”, (Prajāpati) otteneva8 il cibo, da tutte le direzioni.

 

JB, 3, 256. Colui il quale può essere con il desiderio di cibo può dire (questa melodia) quattro volte. Le direzioni sono quattro. Ottiene il cibo dalle direzioni9.

 

JB, 1, 160. (Prajāpati) non li (= gli armenti) discerneva – con un solo colore (ekarūpān). (...) Così, distingueva i loro colori10. Loro divenivano con differenti colori (nānārūpā) – il bianco, il rosso, il nero. Dapprima, loro furono con un solo colore: rossi. (Infatti, il rosso è il colore più abbondante tra gli armenti, PB, 16, 6, 2).

 

JB, 1, 160. Ottiene gli armenti con molti colori, con differenti colori. Diviene con un armento numeroso, colui il quale così conosca.

 

JB, 1, 274-279. Infatti, colui il quale separa e i Devā e gli uomini, si separa dal male. (...) Poiché i Devā sono velati (channā), nascosti, indistinti, in un certo senso. (...) Poiché gli uomini (manuṣyāḥ) sono svelati, evidenti, distinti, in un certo senso. (...) ...perciò, i Devā non ritornano. ...perciò, inoltre, le geniture (o gli uomini, prajāḥ) e vanno via e fanno ritorno. (Gli armenti) vanno lontano, la mattina; loro (te, masc.) tornano insieme, la sera. Lo sperma è versato, in avanti; è generato (prajāyate, dopo la gestazione), indietro. (...) ...perciò, i Devā sono tutti con un solo colore: il bianco. ...perciò, inoltre, le geniture sono con differenti colori: il bianco, il rosso, il nero. Infatti, colui il quale così conosca separa e il colore divino e il colore umano (manuṣyarūpa); si separa dal male. (...) ...perciò, i Devā sono limitati. ...perciò, inoltre, le geniture sono illimitate. “Non conosciamo quanti siano i brāhmaṇāḥ, quanti i rājanyāḥ, quanti i vaíśyāḥ, quanti gli śūdrāḥ”.

 

Gli uomini vanno via e fanno ritorno (nelle loro dimore), generano, sono con differenti colori11, sono illimitati (o più numerosi dei Devā, così come gli armenti – il cibo – sono più numerosi degli stessi uomini, nello ŚBM, 2, 3, 2, 18). Tutto ciò può avere senso solamente per i «divoranti» degli uomini. Infatti, i Devā assoggettano gli uomini – i quali sono come gli armenti, per i Devā: «...perciò, gli animali addomesticati (grāmyāḥ) dimorano all’interno del villaggio (’ntar grāme). (...) Perciò, gli animali addomesticati vanno lontano, la mattina; loro tornano insieme, la sera. (...) Perciò, gli animali addomesticati sono con differenti (o distinti) colori. (...) Perciò, gli animali addomesticati la sera separatamente, ordinatamente vanno verso le dimore (gṛhān)» (JB, 1, 106). Come sono i ‘molti’, nelle loro dimore, per i ‘pochi’?

 

JB, 1, 104. La matrice dell’ordine è la dimora. Con la forza di questa sillaba (ā), gli uomini (prajā) nati qui e si allontanano e ritornano (ā ... gacchanti, nelle dimore).

 

JB, 2, 90. Loro (le vacche) – vedendo il padre, Prajāpati – andarono via – rallegrate. Andate via, loro si propagarono in grande. I Devā furono preoccupati dalla loro dispersione. Guidate fuori, con l’utsedhá, riprese, con il niédha, (i Devā) se le posero in se stessi.

 

Gli armenti tornano da Prajāpati. In questo mito, gli stessi Devā – non Prajāpati – si impongono sugli armenti – rendendoli coloro i quali tornano da loro: «Infatti, i Devā prevalevano. Mettevano (gli armenti) nelle dimore. In questo modo, il cibo non andava via da loro» (ŚBK, 5, 8, 3, 2). «Perciò, gli animali addomesticati sono rinchiusi12» (PB, 6, 8, 14).

 

Nella TS, 6, 5, 11, 1 e 2, gli armenti che ritornano al villaggio («...gli animali addomesticati si avvicinano [upāvayanti; punar āyanti, PB, 6, 8, 13 e 7, 2, 6] al villaggio») sono associati a questo mondo («Poiché questo mondo è ancora e ancora, in un certo senso») e alle piante che rinascono («...le piante si originano [ā bhavanti] ancora»). Così, si rigenera solo il cibo. «Perciò, questo mondo genera (o è generato13, prajāyate) ancora e ancora» (PB, 6, 8, 16). Le geniture si rigenerano, come cibo per Prajāpati (PB, 21, 2, 1), e così il vaíśya si rigenera, come cibo per il brāhmaṇá e per il rājanyá (PB, 6, 1, 10).

 

2.

Le geniture, gli armenti sono solo il cibo, per Prajāpati. Perciò, Prajāpati emette le geniture, gli armenti. – Prajāpati afferra, prende i prāṇā delle geniture, degli armenti: «Allora dissero: “Era preoccupato dalla dispersione (parāvāpād abibhed) di queste geniture emesse”» (JB, 2, 288). Prajāpati si afferma così sulle geniture, sugli armenti.

 

ŚB

 

ŚBM, 7, 5, 2, 4. Infatti, quando (yátra) Prajāpati intendeva immolare gli armenti, loro – in procinto di essere immolati – avevano desiderato di allontanarsi (da lui). Li afferrava insieme nei respiri (prāṇā1). Afferrati insieme nei respiri, (Prajāpati) se li poneva – da davanti a dietro1 – in se stesso.

 

ŚBM, 7, 5, 2, 5. È fatto qui ciò che facevano i Devā. Gli armenti non desiderano (o non tentano) di allontanarsi da lui. Ma (lo) fa. Ciò che avevano fatto i Devā, che (io) possa farlo!. Allora, afferrati insieme (gli armenti) nei prāṇā, (lo yájamāna) se li pone – da davanti a dietro1 – in se stesso.

 

ŚBM, 2, 3, 3, 7 e 8. In quanto (il Sole) è Morte, perciò le geniture da questa parte (al disotto) di lui muoiono (sono mortali, mártyā, K, 3, 1, 9, 1). Allora quelle dall’altra parte sono i Devā. Perciò, inoltre, loro (= i Devā) sono amṛ́tā. Tutte queste geniture (al disotto del Sole) sono trattenute nei prāṇā, attraverso i raggi di lui (di Morte, del Sole). Perciò, inoltre, i raggi sono estesi sino ai prāṇā (di queste geniture). Preso il prāṇá di colui il quale desidera, egli (Morte) sorge (e) costui muore. Come, in questo mondo, non è rispettato (colui il quale) è legato e allora, ogni volta (che) si desidera, (lo) si uccide, così, inoltre, nel mondo lassù, (Morte) induce a morire ancora e ancora colui il quale, non sottratto a Morte, va poi al mondo lassù.

 

PB JB

 

PB, 7, 5, 1 e 2. Prajāpati desiderava: “Posso essere molteplice. Posso generare”. Egli rimaneva – afflitto, infelice. Egli vedeva questo āmahīyava. Così (con questo āmahīyava), emetteva queste geniture. Emesse, loro erano felici (amahīyanta). (...) Emesse, loro erano andate via da lui. Prendeva (...) i loro prāṇā. Prese nei prāṇā, loro tornavano ancora vicine a lui. Dava (...) loro ancora (indietro, punaḥ) i prāṇā. Loro erano insorte (o si erano sollevate) contro di lui. Spezzava2 (...) le loro collere. In questo modo, infatti, loro rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il śraíṣṭhya2.

 

PB, 7, 5, 3. I pari (samānāḥ) rimangono (tiṣṭhante) con colui il quale così conosca, per il śraíṣṭhya.

 

PB, 17, 10, 2. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro andavano via da lui. Egli vedeva questo indistinto sávana del mattino. Così, (Prajāpati) andava (vyavait) al loro centro. Loro tornavano vicine a lui. Lo circondavano.

 

PB, 17, 10, 3. Con il desiderio di un villaggio (o di un clan, grāmakāmo), può sacrificare. In quanto diviene questo indistinto sávana del mattino, va al loro centro (= al centro delle geniture o degli uomini, prajāḥ). Tornano vicine a lui. Lo circondano.

 

JB, 3, 8. Infatti, (...) Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro erano disperse, in diverse direzioni. (...) Con questi due (atirātrau3), le circondava (paryagṛhṇād) da entrambe le parti: con questo, da quaggiù; da lassù, con quello4. Le (...) tratteneva.

 

JB, 3, 8. L’udgātṛ́ è Prajāpati. Egli (...) emette le geniture. Con questi due (...), le trattiene: con questo, da quaggiù, da lassù, con quello; per (ri)prendere, per non disperdere le geniture. La ricchezza (vittá) di colui il quale così conosca non è dispersa.

 

JB, 3, 218. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: Gli armenti possono non andare via da me. Possono tornare verso di me. Egli vedeva questa melodia. Così (con questa melodia), li intrappolava (paryāsyat5). Attraverso il śraíṣṭhya, li sottometteva (upāgṛhṇāt6). Loro stavano con lui (sminn aramanta).

 

JB, 3, 218. Gli armenti stanno con lui (ramante ’smin). Diviene provvisto degli armenti, colui il quale così conosca.

 

JB, 2, 110. “Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro fuggivano da lui. Desiderava (o tentava) di trattenerli, con l’agní-ṣṭomá. Loro andavano oltre (atyādravan) ad esso. (...) Desiderava di trattenerli, con il ṣoḍaśín. Loro andavano oltre ad esso. Con i paryāyāḥ, giungeva ad accerchiarli (paryāyam ait7). (...) Li (...) afferrava (paryagṛhṇāt)”.

 

Gli armenti più piccoli (kudrāḥ paśava) sfuggono ancora a Prajāpati: «“Di questi (armenti) afferrati (o circondati), come i piccoli pesci possono cadere fuori dalle maglie della rete7, così quelli che furono i piccoli armenti, loro caddero fuori (’tiśeduḥ). Li desiderava: ‘Ottenuti, li posso dare a me stesso’. (...) Ottenuti, (...) li dava a se stesso (ātmany ayacchat)”» (JB, 2, 110). Anche un vaíśya con pochi armenti si nota di meno e così può sfuggire allo kṣatrá?

 

JB, 3, 153. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Con il primo giorno, desiderava (o tentava) di trattenerli (avivārayiata). Non li tratteneva. Con il secondo (giorno), non li tratteneva. (...) Nel sesto giorno, li tratteneva, con questa melodia. Egli diceva: “Il goṣṭhá8 è divenuto per me, qui, la melodia degli armenti!”.

 

JB, 3, 153. Gli armenti sono fermi da lui8 (dhriyante ’smin). Diviene provvisto degli armenti, colui il quale così conosca.

 

JB, 1, 172. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Li tratteneva (avārayata), con il vāra-vantīya9. (...) In quanto il vāra-vantīya diviene la melodia dell’agní-ṣṭomá, (è) per la presenza degli armenti, per il non andare via degli armenti.

 

3.

Prajāpati il cibo agli armenti e così gli armenti tornano vicini a Prajāpati. Gli armenti ricevono il cibo e così sono il cibo, danno il cibo (il ‘sacrificio’).

 

ŚB

 

I Devā comprendono come non si possa offrire solamente nella propria bocca. Allora i Devā comprendono Prajāpati: per sostentare se stesso, egli sostenta gli armenti (e li induce a prosperare).

 

ŚBK, 6, 1, 1, 1-3. In questo modo, gli Ásurā con l’altezzosìtà – “In chi noi possiamo offrire?” – offersero nelle loro stesse bocche. Loro, offerenti in questo modo, perirono. (...) Allora i Devā furono in un certo senso senza altezzosità (o senza arroganza). Loro offersero l’uno nell’altro. A loro offerenti in questo modo, Prajāpati diede se stesso. Infatti, il sacrificio è Prajāpati. Egli diveniva il loro cibo. Poiché il sacrificio è il cibo dei Devā. I Devā – “Questo diverrà mio! Questo diverrà mio!” – non concordarono su di lui. Loro – non concordi – dissero: “Avanti, che (noi) corriamo una corsa per lui! Questo (Prajāpati) diverrà di colui il quale vincerà di noi!”. “Sì”.

 

B́has-páti e Índra – tra i Devā conseguono Prajāpati, divenuto il cibo (ŚBM, 5, 1, 1, 4 e 6; JB, 2, 128). Così, gli armenti e le moltitudini sono il cibo del brāhmaṇá e dello kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14; K, 6, 2, 2, 12 e 13). In quanto i congiunti e le moltitudini ricevono il cibo del brāhmaṇá e del rājanyá (JB, 2, 148).

 

ŚBK, 5, 3, 4, 9-12. Inoltre, (Índra) fu preoccupato dal loro (dei Marútaḥ, delle víśaḥ) andare via: “In quanto questi (Marútaḥ) possono andare via da me. (In quanto possono stare con un altro, M, 4, 3, 3, 11)”. Se li rendeva coloro i quali non andavano via (da lui). (...) Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, le víśaḥ sono il cibo. (...) Come lo kṣatríya può mangiare nello stesso pātra con il vaíśya (con la víś, M, 4, 3, 3, 15), per il desiderio della vittoria, così. In quanto hanno preso per lui (per Índra) la stessa presa con loro (con i Marútaḥ).

 

ŚBM, 4, 6, 5, 4. Poiché, con il cibo, è afferrato questo tutto. Perciò, quanti mangiano il nostro cibo, tanti loro1 divengono tutti (sárve) afferrati da noi.

 

ŚBK, 4, 1, 4, 12. Infatti, quando sazia (púṣyaty) gli armenti, allora attinge al sacrificio (yajñaṃ prāpnoti).

 

ŚBM, 13, 7, 1, 1. Offerto se stesso in tutti gli esseri e gli esseri in se stesso, (Bráhman) attingeva (páryait) al śraíṣṭhya, al svārājya, all’ādhipatya di tutti gli esseri.

 

Nello stesso uomo, gli armenti conoscono colui il quale è la loro vita e poi la loro morte. Ma l’uomo conosce come Prajāpati stesso desideri solo il cibo prima di emettere le geniture e gli armenti (ŚBM, 3, 9, 1, 2; M, 7, 5, 2, 6). – Prajāpati non può limitarsi a divorare. Per ridurli solo a un cibo, Prajāpati si lascia rendere un cibo dagli armenti:

 

PB – JUB – KS – JB

 

PB, 6, 7, 18. Infatti, il sacrificio – divenuto un cavallo – andava via dai Devā. I Devā lo avevano indotto a stare fermo (aramayas), con il prastará2. Perciò, il cavallo – strigliato, con il prastará – si delizia. In quanto l’adhvaryú2 prende il prastará, (è) per placare, per non turbare il sacrificio.

 

PB, 6, 7, 19. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui, affamati. Dava loro un prastará2 – il cibo. Loro tornavano vicini a lui. Perciò, il prastará è agitato lievemente dall’adhvaryú2. Poiché gli armenti tornano vicini alla paglia agitata (come cibo).

 

PB, 6, 7, 20. Gli armenti tornano vicini a colui il quale così conosca.

 

Quando tornano da Prajāpati, gli armenti (o le geniture) divengono il cibo per lui. Istruiti da Prajāpati, gli uomini (sugli armenti e sugli altri uomini) danno, solo per avere. In quanto ricevono tutto dall’uomo, il quale li assiste e li sostenta, gli armenti non possono sottrarsi a lui. Gli armenti rimangono con l’uomo, per ridargli tutto e per sostentarlo. Come l’uomo, sugli armenti, così è il rājā, sulle víśaḥ. Infatti, gli armenti e le víśaḥ sono solo il cibo (ŚBK, 6, 2, 2, 12-14).

 

JUB, 1, 11, 1-4. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro da ogni parte, tutt’attorno lo circondavano, anelanti al cibo. Diceva loro: “Con quale desiderio siete?”. “Con il desiderio di cibo”, dicevano. (...) Egli diceva: “Infatti, (noi) viviamo di più di questi armenti. Darò anzitutto a loro”.

 

KS, 8, 13. Infatti, Prajāpati distribuiva le parti – il sacrificio – ai Devā. Egli pensava: “Ho escluso me stesso”. Egli vedeva l’odaná3. Lo spartiva (o preparava) (come) parte per se stesso (ātmane ... akalpayat). Questa è la parte di Prajāpati. (...) E i Devā e gli Ásurā rivaleggiavano. I Devā onoravano Prajāpati (prajāpatim ... abhyayajanta). Gli Ásurā offrivano l’uno nella bocca dell’altro. I Devā avevano cotto l’odaná3. Lo avevano presentato (come) parte a Prajāpati. Prajāpati – vedendo una parte – tornava4 vicino ai Devā. In questo modo, i Devā prosperavano. Gli Ásurā perivano4.

 

KS, 37, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Loro erano andate via da lui. Le desiderava: “Possono tornare vicine a me”. Egli cuoceva l’odaná. Divenuto il cibo, egli rimaneva, unico (ekadhā). Non (avendo) trovato un cibo altrove, loro (le geniture) tornavano5 insieme (ekadhā) verso Prajāpati, per il cibo.

 

KS, 37, 1. Infatti, (quante) geniture numerose e lontane (yāvatīr ... kiyatīr) parlano la parola, (tante) loro tornano insieme (ekadhā) verso di lui, per il cibo; (verso) colui il quale è consacrato, con questo (odaná). (...) Divengono (o prosperano, bhavanti) tutti questi, in un certo senso; divengono tutti i cibi, tutti gli uomini. Ottiene6 tutti i cibi, tutti gli uomini.

 

JB, 2, 148. Prajāpati emetteva le geniture (o gli uomini, prajā). Non conosceva (nessuna) tra queste (geniture) emesse. Le geniture non conoscevano: “Prajāpati ci ha emesse”. Egli rifletteva: “Come io posso emettere queste geniture (e) non posso conoscere (nessuna) tra queste (geniture) emesse?”. (...) In questo modo, con questo (sacrificio), se le richiamava vicino (upāhvayata). (...) In questo modo, infatti, loro lo conoscevano: “Infatti, noi siamo di questo (Prajāpati); questo (Prajāpati) fu nostro”. Allora, divenuto il cibo, (Prajāpati) fu visto (dadṛśe) da loro. Le geniture anelanti al cibo tornarono verso di lui. Il rājanyá dal quale le moltitudini possono andare via, il brāhmaṇá (dal quale possono andare via) i congiunti (sajātās6), costui può sacrificare, con questo (sacrificio, l’upahávya).

 

JB, 2, 149. Allora, in questo (sacrificio), (lo yájamāna) può dare (dadyāt) molto cibo cotto. Le geniture anelanti al cibo tornano verso di lui.

 

JB, 2, 139 e 140. Egli (Índra) andava dai Devā: “Con voi, con la forza, che (io) uccida questo Vṛtrá!”. Gli dicevano: “Infatti, che (tu) lo dia a noi, questo sacrificio proprio solo a te!”. Perciò, nel rājā desiderante di vincere, le moltitudini aspirano ad un’elargizione. Perciò, inoltre, il rājā desiderante di vincere dà alla moltitudine un’elargizione. (...) Con loro, con la forza, Índra uccideva Vṛtrá. I Devā vincevano gli Ásurā. Egli – ucciso Vṛtrá, vinto – vedeva separate queste loro (dei Devā) eccellenze – splendenti. (...) Egli rifletteva: “In quale modo io posso appropriarmi6 di queste loro eccellenze?”. (...) Così, si appropriava (samavkta) di tutte le loro eccellenze (śriyas). (...) Loro sedevano (...) vicini a lui: “Che (noi) siamo delle moltitudini (viśas), per te! Che (tu) ci induca ad aver parte (dopo di te) nel sacrificio!”. Come le mogli (bhāryā) siedono vicine al marito, allo stesso modo. (...) Come un rājā – vinto – può indurre i sostentati (bhāryān) ad aver parte nella sua ricchezza (sve vitte), così li induceva ad aver parte (nel sacrificio).

 

«Inoltre, Índra è lo kṣatrá. I Marúta sono le víśaḥ. Infatti, attraverso la víś, lo kṣatríya diviene provvisto della forza» (ŚBK, 5, 3, 4, 4 e 8 con K, 6, 1, 3, 4). Ma ŚBK, 1, 5, 1, 32. «Infatti, Váruṇa è lo kṣatrá. Il maschio è il vigore. Pone il vigore nello kṣatrá. Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, la femmina è senza vigore. Rende la víś senza vigore (senza virilità, avīryām)». Anche ŚBM, 1, 3, 2, 14. «Avendo reso il divorante più limitato, più esiguo, pone in lui il vigore, la forza. (...) Avendo reso il divorato più illimitato, più abbondante (o numeroso), lo rende senza vigore, più debole. Perciò, inoltre, un rājā soggioga una víś illimitata, stabilito anche in un’unica sede».

 

JB, 1, 116. Infatti, questi due mondi – pur insieme – erano divisi. Non cadeva niente di entrambi. Loro – i Devā (e) gli uomini – erano affamati. Poiché i Devā vivono della elargizione da quaggiù; gli uomini, della elargizione da lassù. (...) (Le oblazioni non andavano verso l’alto da quaggiù; la pioggia non era data verso il basso da lassù, JB, 3, 216). Egli (Prajāpati) portava l’offerta (havyam avahat) ai Devā verso l’alto da quaggiù. Induceva la pioggia a versarsi (...) da lassù. Rendeva questi due mondi congiunti. Questi (due mondi) abbondavano per (o in accordo con) il (suo) desiderio7. Questi due mondi abbondano (pinvāte) per il desiderio (di) colui il quale così conosca.

 

Il latte è il legame evidente tra Prajāpati (che dà) e le geniture (che ricevono).

 

JB, 2, 228 e 229. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro perivano. Diveniva il rettile, qui, altro dai serpenti. Egli emetteva delle seconde (geniture). Loro perivano. Loro divenivano i pesci. Egli emetteva delle terze (geniture). Loro perivano. Divenivano questi uccelli. Egli rifletteva: “Queste tre geniture che ho emesse – senza il brāhmaṇá (JB, 2, 185), senza il cibo, senza il sacrificio – sono perite. Avanti, posso emettere le geniture dal brāhmaṇá, dal cibo, dal sacrificio!”. Egli si poneva il cibo in se stesso. (...) Divenivano i (due) seni (di Prajāpati). (...) Diveniva il latte. (...) Egli si pose il riso (e) l’orzo in se stesso. È il latte del riso (e) dell’orzo. (...) Con questi (sacrifici), emetteva queste geniture. Dava a loro – a quelle provviste dei seni – il cibo. Loro divenivano le sue geniture provviste del cibo.

 

JB, 1, 187. Egli emetteva delle quarte (geniture). Egli rifletteva: “In quale modo queste mie geniture – emesse – possono non perire?”. (...) Così, (...) le sfiorava. Loro – dotate da lui della forza (ūrjā ... samaktā) – si accrescevano (avardhanta). Egli diceva: “Ho sostentato bene queste geniture!”. (...) Colui il quale così conosca sostenta bene la genitura.

 

JB, 3, 148. Prajāpati emetteva le geniture. Le emetteva, prive del cibo. Loro – affamate – si divoravano l’un l’altre. Prajāpati rifletteva: “In quale modo queste mie geniture possono non essere affamate?”. (...) Così, (...) le sfiorava. Loro – dotate da lui della forza – si accrescevano (avardhanta). (...) I sostentati (bhāryā) di colui il quale così conosca si accrescono – dotati della forza (iṣā ... samaktā).

 

PB, 15, 5, 35. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui. Li richiamava indietro (tān ... anvahvayat), con questa melodia: Ascolta! Vieni qui! (śrūdhiyā ehiyā). Loro tornavano vicini a lui8. In quanto diviene questa melodia, (è) per il ritorno degli armenti.

 

PB, 15, 5, 36. Gli armenti tornano vicini a colui il quale così conosca.

 

JB, 3, 274. Prajāpati emetteva Yaá9. Lo dava ai Devā. Spaventato dalla diminuzione, egli (Yajñá) fuggiva. I Devā desideravano: “Ci può ascoltare”. (...) Lo richiamavano indietro (anvahvayan), con questa (melodia): “Ascolta!”. Egli ascoltava. Gli dicevano: “Torna verso di noi!”. “Infatti, sono spaventato dalla diminuzione”. “No”, dicevano. Per lui – “Infatti, fate per me la fiducia!” – facevano10 la fiducia (śraddhām): “Ascolta!”. Se lo richiamavano (vicino): “Vieni qui!”. In questo modo, infatti, Yajñá non andava via da loro (tebhyo ... nodakrāmat). In questo modo, tornava vicino a loro11.

 

JB, 3, 155. Prajāpati emetteva questo sacrificio – il pṛ́ṣṭhya-ṣaḍahá. Emesso, egli fuggiva. Desiderava (o tentava) di trattenerlo, con il rathantará. Non lo tratteneva. (...) Lo tratteneva con il vāra-vantīya. (...) In quanto diviene il vāra-vantīya (...), è per trattenere il sacrificio.

 

JB, 2, 112. “Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli diceva ad Agní: ‘Che (tu) li trattenga, per me!’. Egli non li (...) tratteneva. Egli diceva a Índra: ‘Che (tu) li trattenga, per me!’. Egli non li (...) tratteneva. (...) Egli diceva a Víṣṇu: ‘Che (tu) li trattenga, per me!’. Egli (Víṣṇu) li tratteneva (...) con il vāra-vantīya”.

 

PB, 20, 3, 2. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui. Non li otteneva, con l’agní-ṣṭomá. (...) Non li otteneva, con il ṣoḍaśín. (...) In merito a loro, diceva ad Agní: “Che (tu) intenda12 ottenerli, per me!”. Agní non li (...) otteneva. In merito a loro, diceva a Índra: “Che (tu) intenda ottenerli, per me!”. Índra non li (...) otteneva. In merito a loro, diceva ai Víśve-Devā: “Che (voi) intendiate ottenerli, per me!”. I Víśve-Devā non li (...) avevano ottenenuti. In merito a loro, diceva a Víṣṇu: “Che (tu) intenda ottenerli, per me!”. Víṣṇu li (...) otteneva.

 

 

Note.

 

2.1

1 Le geniture stesse sono come gli armenti. Perciò, soltanto gli armenti sono per il brāhmaṇá e soltanto le víśaḥ sono per lo kṣatrá (e le víśaḥ sono come gli armenti). – Gli utsargā sono le sottrazioni (all’angoscia). Gli armenti sono anche le «molte forme» di Agní e così Prajāpati li immola: «“Io desidero le forme di Agní. Avanti, che (io) li immoli agli Agnáya, per il (mio) desiderio!”. Li immolava agli Agnáya, per il desiderio (delle forme di Agní). (...) “Avanti, che (io) deponga le teste!”. Strappate le teste (degli armenti), egli le deponeva (upādhatta)» (ŚBM, 6, 2, 1, 6 e 7). Ma Prajāpati non emette il sangue degli armenti – una crudeltà (MS, 4, 2, 9).

2 La fortuna.

3 L’ādhipatya è la supremazia: «Perciò, tra gli armenti (o tra gli animali) gli uomini sono di Índra. Perciò, (gli uomini) sono gli ádhipataya di tutti questi (armenti, in M, 4, 5, 5, 7), sono i signori (īśata) di tutti (loro). Poiché sono di Índra» (ŚBK, 5, 6, 7, 3). Agní stesso è il signore degli armenti: «Loro (questi armenti, K, 5, 4, 1, 9) lo circondano, da ogni parte» (ŚBM, 4, 3, 4, 11).

4 Colui il quale canta le melodie. La melodia Yaṇva: «Come può aggirare un armento (vrajaṃ) con un laccio, con una corda, così egli circonda (afferra) gli armenti (con lo Yaṇva), per non disperder(li). La ricchezza di colui il quale così conosca non è dispersa» (JB, 3, 92).

5 Gli armenti e le geniture.

6 «“Spaventato da te, (Prajāpati) ha penetrato questa (terra)”» (ŚBM, 10, 1, 3, 3). La diminuzione preoccupa il cibo divorato e il divorante del cibo: «Perciò, il vaíśya – per quanto divorato – non diminuisce (o non si esaurisce). Poiché è emesso dal membro. (...) Perciò, è il divorato (ādyo) e del brāhmaṇá e del rājanyá. Poiché è emesso più in basso (di entrambi)» (PB, 6, 1, 10). Anche ŚBM, 1, 6, 4, 14. «Poiché è la prosperità, quando, il cibo vecchio (o il cibo di prima) non esaurito, arriva allora del nuovo cibo». Forse Prajāpati pensa in questo modo alle geniture (TB, 1, 6, 2, 3 e 4).

7 I Devā e il mondo celeste: «Con questa (melodia): “È rimasto (sthād), qui! È rimasto, qui!”, lo inducevano a fermarsi (o a rimanere). Lo fissavano, con questa (melodia)» (JB, 3, 255). Anche JB, 3, 164. «Infatti, questi mondi – spaventati – andavano via dai Devā – vittoriosi. Loro (i Devā) desideravano: “Questi mondi possono tornare verso di noi. Possono non andare via da noi”. (...) In questo modo, infatti, questi mondi tornavano verso di loro. In questo modo, divenivano coloro i quali non andavano via da loro. Loro (i Devā) dicevano: “Infatti, questi mondi ci hanno fatto godere la gioia!”. (...) Questi mondi gli fanno godere la gioia. Questi mondi tornano verso di lui. Questi mondi non vanno via da lui, (da) colui il quale così conosca».

8 Anche JB, 1, 88. «Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro da ogni parte, tutt’attorno lo circondavano, anelanti al cibo. Per loro, emetteva il cibo, con il suono hí. Con il suono ó, tratteneva (il cibo) emesso». Anche JB, 3, 214.

9 «Gli Áṅgirasa desideravano: “Possiamo ottenere gli armenti”. (...) In questo modo, infatti, gli armenti si raccoglievano verso (’bhinyaveṣṭanta) di loro da tutte le direzioni» (JB, 3, 250). Anche ŚBM, 5, 5, 1, 6. «Perciò, inoltre, il cibo è portato verso il rājā da ogni direzione». Così, ŚBK, 7, 4, 2, 13.

10 «Prajāpati emetteva gli armenti. Di questi (armenti) emessi, non erano conosciute (prājñāyanta) le forme (o i colori, rūpāi). (...) Con queste (melodie), (Prajāpati) poneva le loro forme. (...) Colui il quale così conosca ottiene degli armenti provvisti di forme (rūpaṇvataḥ)» (JB, 3, 223). «Infatti, con questa (melodia), Prajāpati emetteva gli armenti, abbondanti. Poneva in loro una forma. In quanto diviene questa melodia, pone una forma negli armenti» (PB, 8, 5, 6). Anche ŚBK, 1, 1, 2, 3. Così, TB, 2, 2, 7, 1. «Prajāpati emetteva le geniture. Loro – emesse – si stringevano. Le penetrava, con una forma. Perciò, dissero: “Prajāpati è la forma”. Le penetrava, con un nome. Perciò, dissero: “Prajāpati è il nome”». Anche PB, 24, 11, 2. «Prajāpati emetteva le geniture. Loro – non distinte, non concordi – si erano divorate l’un l’altre. Così, Prajāpati era afflitto...».

11 La víś è l’abbondanza – e il cibo – ed è correlata con un armento pezzato (ŚBM, 5, 1, 3, 3 e M, 5, 3, 1, 6). La varietà contraddistingue la víś: «Rende la víś con meno vigore dello kṣatrá – diversa nella parola, con pensieri differenti» (ŚBM, 8, 7, 2, 3). «Perciò, gli armenti – pur essendo gli stessi – sono con differenti colori» (PB, 10, 11, 1). Colui il quale può essere con il desiderio di cibo e di un clan (o di un villaggio), può immolare un armento «con molti colori» ai Víśve-Devā (TS, 2, 1, 6, 4 e 5). I Víśve-Devā stessi sono le víśaḥ e così – per il rājanyá – sono associati ad un’abbondanza di colori (ŚBM, 5, 5, 1, 10). Anche JB, 2, 184.

12 «Allora, in quanto mendica, ridotto se stesso all’erranza (e) divenuto senza pudore, ciò che è questo suo piede in Morte, lo riscatta (párikrīṇāti) così» (ŚBM, 11, 3, 3, 5). Anche GB, 1, 2, 3. La via della rinuncia. «Perciò, inoltre, una donna va verso un uomo che sta in una (dimora) ben approntata» (ŚBM, 3, 2, 1, 22). – Anche ŚBK, 4, 6, 2, 6. «Suparṇī lo (= il Sóma) diede ai Devā. Con questo (Sóma), riscattò se stessa da Morte. (...) Infatti, l’uomo (manúṣyo; M, púruṣo) – nascendo – nasce (come) un debito verso Morte, (attraverso se stesso, ātmánā, M, 3, 6, 2, 16). In quanto sacrifica, egli riscatta se stesso da Morte». La via del sacrificio. «Loro (= i Devā) sacrificavano, con il Sóma. Loro offrivano un’oblazione di Sóma. Con questa (oblazione di Sóma), lo (= Morte) vincevano del tutto» (JB, 1, 13).

13 Anche, ad esempio, ŚBM, 3, 8, 4, 18. «Perciò, queste geniture sono generate (prájāyante) ancora, in modo ripetuto». – «Poiché questo mondo è come avvinto a Morte» (TS, 1, 5, 9, 4).

 

2.2

1 «Infatti, afferrati, attraverso i respiri, le geniture, gli armenti rimangono vicini (o servono)» (JB, 2, 301). – Oppure: davanti, all’indietro. Poiché le teste degli armenti sono poste «davanti (purástāt), la faccia all’indietro (pratīca)» (ŚBM, 7, 5, 2, 4).

2 «Loro – trovato il cibo – non lo rispettavano. (...) Egli era afflitto. Egli non era felice. (...) Loro andavano nel suo potere. (...) Inoltre, in quanto, resele nel (suo) potere, (Prajāpati) era felice, è ciò che dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava» (JB, 1, 117 e 118). Prajāpati infine è felice, in quanto le geniture rimangono con lui, per il śraíṣṭhya.

3 «Infatti, emesse le geniture, Prajāpati le circondava con il cielo e con la terra» (ŚBM, 3, 8, 4, 17). «Emesse, (...) loro erano andate via (vyudāyas) in diverse direzioni. Prajāpati le circondava con il cielo e con la terra» (MS, 1, 10, 7). Anche ŚBM, 6, 7, 4, 12. «Prajāpati – e in procinto di generar(lo) e generato(lo) – circondava da entrambe le parti questo tutto con il giorno e con la notte». «Era preoccupato dalla dispersione di queste (geniture) emesse. (...) Le (...) circondava (pariṇyadadhāt) tutt’attorno con l’oceano. Loro non erano disperse. La ricchezza di colui il quale così conosca non è dispersa» (JB, 1, 104).

4 Come gli armenti: «E con questo mondo e con quello (anena ... amunā) circondano gli armenti da entrambe le parti, ottengono gli armenti. (...) Gli armenti – circondati da entrambe le parti e con questi (due) mondi e con Índra (e) Agní – rimangono vicini (upatiṣṭhante, servono) a lui, a colui il quale così conosca» (JB, 2, 300). – «Prajāpati desiderava: “Posso emettere le geniture”. (...) Emesse, loro andavano via da lui. Le prendeva, con la presa (gráha)» (TB, 2, 2, 1, 1). Anche TS, 1, 5, 9, 7. «Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro entravano nel giorno e nella notte. Li trovava, con i metri». Anche AB, 3, 45.

5 «Infatti, colui il quale mette insieme (con un pātra) con un buco non è saziato (utpūryate). Allora colui il quale mette insieme (con un pātra) senza un buco è saziato» (JB, 3, 218).

6 Le geniture sono gli armenti: «Emesse, loro erano lontane. Non tornavano vicine. Le (...) sottometteva (upāgṛhṇāt). Loro passavano oltre. (...) Le (...) aveva trattenute. (...) In quanto, ottenute, le riprendeva (ayacchad), così è l’aptoryāmá» (GB, 2, 5, 9). «In quanto, ottenuti, dava (i piccoli armenti) a se stesso, perciò è l’aptoryāmá» (JB, 2, 110).

7 Lett. andava accerchiandoli. Anche JB, 2, 111. «Prajāpati è questo paryūḍhaḥ da lontano; per rinchiudere (guptyai) gli armenti; per non disperdere gli armenti. La ricchezza di colui il quale così conosca non è dispersa». – Oppure, possono sfuggire alle maglie della rete. Anche ŚBM, 5, 1, 5, 13. «Quanto un tiro di freccia, tanto Prajāpati è largo. Allora, quanto diciassette tiri di freccia, tanto Prajāpati è lungo».

8 Anche JB, 3, 114. «Infatti, inoltre, quando l’uomo trova gli armenti, allora egli pone attorno un goṣṭhá, per rinchiuder(li)». Anche PB, 13, 4, 13. – Il passo può essere tradotto: «Il goṣṭhá è per fermare (dhtyai) gli armenti. Gli armenti sono fermi in questo (goṣṭhá). Colui il quale così conosca diviene provvisto degli armenti» (JB, 3, 153).

9 «Infatti, gli armenti – guardato negli occhi di Agní emesso – correvano via. Prajāpati emetteva il vāra-vantīya. Li tratteneva (avārayata). (...) Infatti, emesso il vāra-vantīya, Prajāpati riusciva nel desiderio che desiderava (yáṃ kāmam ákāmayata tám ārdhnot)» (MS, 1, 6, 7). Anche JB, 2, 413. «Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Strappato un ramo di varaṇá, li tratteneva, con il vāra-vantīya». Anche PB, 5, 3, 9 e 10. «Agní Vaiśvānará giungeva ad ardere questo (tutto). I Devā erano spaventati da lui. Lo trattenevano, con un ramo di varaṇá. (...) Perciò, il varaṇá è salutare. Poiché, con esso, i Devā salvavano se stessi».

 

2.3

1 Gli armenti (e gli uomini). «Questa è la regola».

2 Il prastará è un fascio di steli o di fieno. L’adhvaryú è colui il quale recita le formule rituali.

3 L’odaná è un po’ di riso cotto con il latte. Anche GB, 2, 1, 7. «Egli pensava: “Ho escluso me stesso”. Egli vedeva l’ odaná – non spartito. Lo sceglieva (come) parte per se stesso (ātmane ... niravapat. L’odaná è il sacrificio. – Con il cibo e con la luce: «Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro andavano lontane da lui. Per loro, (Prajāpati) sollevava una luce. Le geniture – vedendo una luce – tornavano insieme verso di lui» (TB, 1, 1, 5, 4). Anche MS, 1, 6, 6. Così, PB, 10, 2, 1. «Prajāpati emetteva le geniture. Egli languiva. Per lui, Parola sollevava una luce. Egli diceva: “Chi ha sollevato questa luce per me?”. “La tua stessa Parola”, diceva (ella)».

4 «Egli nell’ultimo stotrá (...) si rivolgeva a (tornava verso) i Devā» (PB, 18, 1, 4). L’upahávya nel PB: «Con il desiderio di un villaggio (o di un clan), può sacrificare. (...) Pone la moltitudine sotto il suo potere (asmā ... anuniyunakty). La moltitudine diviene colei la quale non va via da lui. Con il desiderio di un armento, può sacrificare. (...) Ottiene gli armenti» (PB, 18, 1, 13-16). – «I Devā furono in un certo senso più accondiscendenti con il volere (di Prajāpati); gli Ásurā, meno accondiscendenti con il (suo) volere, in un certo senso. Prajāpati desiderava: “I Devā possono prosperare. Gli Ásurā possono perire”. (...) In questo (sacrificio), (Prajāpati) si richiamava vicino i Devā. Allora escludeva gli Ásurā, con una lunga canna. In questo modo, infatti, i Devā prosperavano. Gli Ásurā perivano» (JB, 2, 150).

5 «Le desiderava: “Possono tornare vicine a me”. (...) Egli immolava se stesso, per il sacrificio. Loro tornavano vicine a lui» (KS, 29, 9).

6 Con il cibo, l’uomo afferra gli armenti – e gli uomini, resi come gli armenti (ŚBM, 4, 6, 5, 4). Per Índra, per lo kṣatrá sulle moltitudini, B́has-páti (come puróhita) arriva per primo al cibo; poiché B́has-páti è il brāhmaṇá sugli armenti – e gli armenti per primi sono «afferrati», con il cibo. – «Infatti, questi sono i sajātā: i parenti, i figli, le mogli, gli armenti. Porta in contatto se stesso con questi. Con questi, prospera. (...) Infatti, pone questi sajātā in lui. Li rende coloro i quali non vanno via da lui» (MS, 2, 3, 2). – Il mito suggerisce qui un accentramento in Índra. Anche JB, 3, 349. «Egli (Prajāpati) rifletteva: “In quale modo io posso appropriarmi di queste loro eccellenze?”». Anche JB, 3, 364.

7 Prajāpati dà la pioggia alle geniture e così le sostenta: «I sostentati – completamente soddisfatti (con il cibo) – lo esaltano, colui il quale così conosca – completamente soddisfatto (con il cibo)» (JB, 1, 117). Prajāpati fa generare (prosperare) per lui i due mondi: «Quando il (cielo) lassù piove, allora questa (terra) genera. Infatti, inoltre, quando il marito versa lo sperma nella moglie, allora ella genera» (JB, 1, 330).

8 Anche PB, 10, 3, 13. «Perciò, (gli armenti) si avvicinano, raggiunti (siddhā) con la parola, richiamati con la parola (con la voce). Perciò, inoltre, conoscono il (loro) nome». «Perciò, richiamati, con la parola, gli armenti muovono verso; raggiunti, con la parola, tornano indietro» (KS, 34, 7).

9 Lo Yajñá è il sacrificio: un armento (gli armenti hanno e dunque danno) e un cibo: «Infatti, il sacrificio andava via dai Devā. “Io non diverrò il vostro cibo”. “No”, dicevano i Devā, “Diverrai il nostro cibo”» (AB, 1, 18). Anche AB, 3, 45. «I Devā dicevano: “Infatti, il sacrificio – il nostro cibo – è andato via. Che ricerchiamo questo sacrificio – il cibo!”. (...) Ottenuto, gli avevano detto: “Che (tu) rimanga (tiṣṭhasva) per il nostro cibo!”». «Infatti, gli armenti non rimanevano (nātiṣṭhanta) con i Devā, per il cibo, per l’immolazione. Andati via, loro rimanevano, replicando: “Non ci immolerete. Non noi!”» (AB, 2, 3).

10 Prajāpati dà il migliaio di vacche ai Devā: «(Con la melodia) con il finale ī, (i Devā) (lo) divoravano (āvayan). (Con la melodia) con il triplice finale, e lo inducevano a generare e per lui facevano l’ákṣiti» (JB, 2, 254). I Devā sostituiscono Prajāpati: «Andate via, loro (le vacche) si propagarono in grande. I Devā furono preoccupati dalla loro dispersione. Guidate fuori, con l’utsedhá, riprese, con il niédha, (i Devā) se le posero in se stessi» (JB, 2, 90).

11 «Prajāpati emetteva il sacrificio. Lo dava ai Devā. Dato il sacrificio, egli si pensava svuotato. Egli rifletteva: “In quale modo io posso richiamare ancora vicino questo sacrificio?”. (...) Così, se lo richiamava ancora vicino» (JB, 2, 149).

12 Oppure, “Che (tu) cerchi di ottenerli, per me!”.

 

© Frammenti vedici.

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