Prajāpati e Morte.
Gli armenti invecchiano: Prajāpati li ottiene (āpnot). Come
gli armenti, le geniture sono il cibo, per Prajāpati. Perciò, le geniture muoiono – e sono generate e generano, più numerose, solo per
Prajāpati.
ŚBK, 2, 5, 2, 5. Allora
sacrifica: “Svāhā! Svāhā!”. Infatti, il suono svāhā è l’Inverno – Prajāpati. Poiché l’Inverno
come con la forza riduce queste geniture
al proprio potere. Perciò, in inverno, le piante languono, le foglie degli
alberi cadono, gli armenti (si) ritirano di più e di più, gli uccelli volano
più in basso, l’uomo di infimo várṇa diviene come con i capelli caduti.
Poiché l’Inverno come con la forza riduce queste geniture al proprio potere.
Infatti, colui il quale, così conoscendo, sacrifica: “Svāhā!
Svāhā!”, (costui) si rende proprio il territorio, il
territorio nel quale vive (bhávati),
per la śrī, per il cibo, per la gloria.
ŚBM, 8, 2,
3, 9 e 14. Gli armenti – divenuti i metri – erano andati via da Prajāpati – disfatto. Gāyatrī
– divenuta un metro – li otteneva, con il vigore. (...) Divenuto ella
(Gāyatrī), Prajāpati otteneva1 gli armenti, con il vigore (váyasāpnot).
(...) Perciò, parlano (ācakṣate)
dell’armento invecchiato (jīrṇáṃ): “Ottenuto (da Prajāpati), con
il vigore (o con
l’età)”.
ŚBM, 4, 5,
5, 11. (Emesse queste geniture, Prajāpati va verso [abhyāvartate] di
loro, K, 5, 6, 7, 6). Egli (Prajāpati) va vicino (upāvartate) a queste
geniture: le avviva: respira verso di loro. Le avviva (avati). In quanto le induce a generare.
ŚBM,
7, 3, 2, 14. Agní andava via dai Devā. Egli penetrava le
acque. I Devā avevano detto a Prajāpati: “Che (tu) ricerchi questo (Agní)! A te – a suo padre – egli diverrà manifesto”. Divenuto un
cavallo bianco, (Prajāpati) lo ricercava. Lo ritrovò, affiorato dalle acque, in
una foglia di loto. Si rivolse a lui con lo sguardo. Egli (Agní) lo ustionò. Perciò, il cavallo bianco è con la bocca come
ustionata. Poi è incline agli occhi deboli.
ŚBM,
7, 3, 2, 12. Questo cavallo (= Prajāpati, M, 7, 3, 2, 14) è il Sole lassù.
Inoltre, questi mattoni sono tutte queste geniture. In quanto induce (il
cavallo) ad annusar(li), il Sole lassù respira verso queste geniture.
ŚBM,
8, 7, 3, 10. Quando (yátra), là, inducono il cavallo ad annusare la cíti, il
Sole lassù lega insieme in un filo (= Vāyú,
M, 5, 1, 2, 7) questi mondi.
ŚBK,
4, 7, 4, 3. Poiché, quando piove, qui, allora nascono le piante. Le piante
mangiate, le acque bevute, in questo modo, diviene (si origina) lo sperma. Dallo
sperma, (diviene) l’armento.
ŚBM, 9, 4, 1, 2. Le unioni – divenute i Gandharvāḥ e le Apsarasaḥ – andavano via da Prajāpati
– disfatto. Divenuto un carro (= il Sole lassù, M, 9, 4, 1, 15), (Prajāpati) le
rinchiudeva. Se le poneva – rinchiuse – in se stesso, se (le) rendeva in se
stesso.
PB – JB – BaudŚS – TS – TB – VB
Se Prajāpati non le avesse desiderate solo
come cibo, le geniture non sarebbero mai state generate (ŚBK, 4, 9, 1, 2), né avrebbero mai generato:
PB, 21, 2, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse,
loro andavano lontane da lui, spaventate:
“Ci divorerà”. Egli diceva: “Che torniate
vicine a me! Infatti, vi divorerò, in modo tale che – per quanto divorate – più numerose [abbondanti] genererete2”. A loro – gli
avevano detto: “Prometti3!” – prometteva3, (con la
melodia) con il finale ṛtá. (Con la melodia) con il finale ī, (Prajāpati) (le)
divorava
(o consumava, āvayat). (Con la melodia) con il
triplice finale, (le) induceva a
generare (prājanayad). Con queste melodie, Morte3
qui e divora le geniture e (le) induce a generare4.
PB, 21, 2, 2-4. (Il migliaio di vacche) – per quanto divorato
– di colui il quale così conosca diviene numeroso [abbondante]. Queste sono le eminenti
melodie, le superiori melodie: le
melodie di Prajāpati. Colui il quale così conosca raggiunge il jyaíṣṭhya, il śraíṣṭhya.
È come se Prajāpati
– emettendolo dal membro – inducesse il vaíśya a generare solo come cibo per il brāhmaṇá e per il rājanyá (PB,
6, 1, 10). Prajāpati inoltre assiste le geniture – come se fossero
degli armenti – solo per indurle a prosperare e a generare, e poi divorarle (=
ucciderle, come cibo).
PB,
20, 4, 5 e 6. Prajāpati emetteva le geniture. Loro
non generavano. (...) Divenuto un cavallo, (Prajāpati) respirava, verso di
loro. Loro generavano. (...) Colui il
quale così conosca genera, diviene molteplice.
PB, 11, 3, 5. Infatti, divenuto un cavallo, Prajāpati
emetteva le geniture. Egli generava; diveniva molteplice.
PB, 7, 10, 15. Prajāpati emetteva le
geniture. Emesse, loro erano languite [o afflitte]. Respirava,
(...) verso di loro. In questo modo, infatti, loro prosperavano.
JB, 3, 79. Prajāpati
emetteva le geniture. Emesse da lui, loro
languivano (o soffocavano, atāmyan).
Egli desiderava: “Queste mie geniture possono non languire”. (...) Così, le
sfiorava. Loro respiravano (o vivevano5, samānan).
JB, 3, 192.
Prajāpati emetteva le geniture. Le emetteva, sprovviste del respiro. Egli
desiderava: “Queste mie geniture possono essere provviste del respiro”. (...)
Così, (...) le sfiorava (abhyamṛśat). (...) Poneva in loro (āsu) i respiri5. Colui il quale così conosca pone i respiri e in se stesso e nello yájamāna.
PB,
8, 8, 14-17. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro erano affamate. Dava
(...) loro il cibo. In questo modo, infatti, loro prosperavano (oppure, si accrescevano, samaidhanta6). (...) Loro dicevano: “Ci hai ben sostentate”. (...) Dava loro la
pioggia – il cibo.
BaudŚS, 18, 42.
Mánu Vaivasvatá desiderava: “Posso emettere la
genitura. Posso ottenere la genitura. Posso aver parte nella genitura (prajāṃ vindeyā). Possono conoscermi, attraverso la genitura”. (...) Egli desiderava: “La mia genitura può essere
una divorante. Può ottenere il cibo (per se stessa). Il cibo può essere
stabilito in questa (terra)”.
JB, 1, 117. Prajāpati emetteva
le geniture. Le emetteva, prive del cibo. Loro – affamate – si divoravano l’un
l’altre. Prajāpati rifletteva: “In quale modo queste mie geniture possono non
essere affamate?”.
Così, Prajāpati dà
alle prajāḥ la pioggia come cibo:
JB, 1, 117 e 118. In quanto loro – le geniture completamente soddisfatte
(con la pioggia), sfamate – lo (= Prajāpati) esaltavano (āmahīyanta, onoravano), è ciò che dell’āmahīyava è
proprio dell’āmahīyava. I sostentati
(bhāryās) – completamente soddisfatti – lo esaltano, colui il quale così
conosca – completamente soddisfatto
(con il cibo). Loro – trovato il cibo – non lo
rispettavano. (...) Egli era afflitto. Egli non era felice. Egli rifletteva:
“Come io posso emettere queste geniture (e) loro – emesse – possono non
rispettarmi?”. (...) Le appagava. Loro andavano nel suo potere. (...) In quanto
egli (le) vedeva felici, è ciò che
dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava. Inoltre, in quanto, resele nel (suo)
potere, (Prajāpati) era felice, è ciò che dell’āmahīyava è proprio dell’āmahīyava. Resi
i suoi nel (suo) potere, colui il quale così conosca è felice (ā ... mahīyate).
Colui i suoi del quale possono essere in un certo senso non resi nel (suo) potere, seduto
nel loro centro, può apprendere (l’āmahīyava). Se li rende nel (suo) potere.
PB, 10, 12, 2.
Così (con questo svārá), i Devā vedevano
gli armenti. (...) Così, (li) lasciavano
andare. (...) Così, i Devā davano il
cibo da questi mondi agli armenti.
(...) Così, (li) sottomettevano (upa
... aśikṣan). (...) Così, (gli
armenti) concepivano (garbhāṁs
... adadhata). Li (...) inducevano a
generare (o a nascere, prājanayan).
Prajāpati
dà le geniture a se
stesso (PB, 21, 2, 1) e il migliaio di vacche ai Devā (JB, 2, 254). Le
geniture, per Prajāpati, sono come il migliaio di
vacche (= gli armenti), per i Devā:
JB, 2, 254. Quando
Prajāpati dava il migliaio ai Devā, (loro) lo
divoravano, senza guardare indietro. (Il migliaio di vacche) – divorato –
diveniva nascosto (tiro) ai Devā. Lo richiamavano. (Il migliaio di
vacche) diceva: “Infatti, sono spaventato dalla diminuzione”. “No”, dicevano (i
Devā), “Infatti, ti
divoreremo, in modo tale che – per quanto mangiato, bevuto – non diminuirai per noi”. A lui
– “Infatti, che (voi) mi promettiate!” – promettevano, (con la melodia) con il
finale ṛtá. (Con
la melodia) con il finale ī, (lo) divoravano (o consumavano, āvayan). (Con la melodia) con il triplice finale, e
lo inducevano a generare e per lui
facevano l’ákṣiti.
JB, 2, 254. Il
migliaio – per quanto mangiato, bevuto – di colui il quale così conosca non diminuisce.
PB, 6,
1, 1-3. Prajāpati desiderava: “Posso
essere molteplice. Posso generare”. (...) Così (con questo agní-ṣṭomá), emetteva queste geniture.
Infatti, egli le emetteva e con
l’undicesimo stotrá dell’agní-ṣṭomá e con l’undicesimo mese dell’anno; le afferrava e con il dodicesimo stotrá dell’agní-ṣṭomá e con il dodicesimo mese dell’anno. Perciò, le
geniture7 – portato l’embrione (garbhaṃ) (sino) al decimo mese – generano in seguito l’undicesimo
(mese). Perciò, non oltrepassano il dodicesimo (mese). Poiché sono afferrate (o racchiuse) (da Prajāpati) con il dodicesimo (mese).
PB, 6, 1, 3 e 4. Colui
il quale così conosca afferra le
geniture nate (e) induce a nascere
(pra ... janayati) (quelle) non nate. Di
queste (geniture) afferrate, il mulo passava
oltre. Seguito(lo), (Prajāpati) prendeva il suo réta. (...) Perciò, il mulo è senza genitura. Poiché è preso nel réta8.
TS, 7, 1, 1, 2-4. Infatti, Prajāpati emetteva le geniture, con
l’agní-ṣṭomá; con l’agní-ṣṭomá, le afferrava.
(...) Colui il quale, così conoscendo, sacrifica, con l’agní-ṣṭomá,
induce a nascere le geniture non nate (e) afferra (quelle) generate. Perciò,
dissero: “È l’eminente sacrificio”. Prajāpati
è l’eminente9 (jyéṣṭhaḥ).
Poiché egli sacrificava con questo (agní-ṣṭomá),
all’inizio.
TB, 1, 6, 4, 1.
Divenuto il Sole, Prajāpati emetteva le geniture. Loro lo disdegnavano. Loro
andavano via da lui. Divenuto Váruṇa, (Prajāpati)
induceva Váruṇa ad afferrarle, le geniture. Loro, le geniture afferrate da
Váruṇa, andavano ancora da Prajāpati, ricercando soccorso. (...) Con questi (varuṇa-praghāsāḥ),
infatti, egli sottraeva10 le geniture ai lacci di Váruṇa11.
TS, 5, 5, 4, 1 e
2. Le Acque erano le spose di Váruṇa. Agní (Fuoco) si rivolgeva a loro. Si univa con loro.
Il suo sperma cadeva: diveniva questa (terra). Il secondo (sperma) che cadeva
diveniva quel (cielo). (...) Lo sperma12 che quel (cielo) versa si
stabilisce in questa (terra). Genera. Divengono le piante (e) le erbe. Agní le divora. Colui il quale così
conosca genera. Diviene un divorante.
Anche JB, 1, 116. Quando Agní le arde, le piante rinascono (come cibo di Agní). Agní genera è così può divorare.
Questo tutto è da Agní, solo per il
cibo di Agní. Anche KS, 20, 6. «Dal disopra, il marito versa lo sperma in questa moglie. Quel (cielo)
versa lo sperma in questa (terra). Questa (terra) genera (prajanayaty). Agní divora13».
VB, 3, 19. Agní
inoltre è questo Mṛtyú. Egli seguiva Prajāpati, con la forma di
colui il quale era in procinto di divorar(lo). Correva verso di lui. Per lui, (Prajāpati) si asciugava (il
sudore dalla fronte). (Egli si asciugava [il sudore] dalla fronte. Diveniva il
burro [per Agní], TB, 2, 1, 2, 1 e 2). Perciò, sulla fronte non ci sono i
capelli. (...) Correva una seconda volta verso di lui. Lo seguiva. Per lui, (Prajāpati) gettava (i
capelli14). Erano divenute queste erbe úlapa. (Agní) le
prendeva – correndo (verso di lui). (...) Correva una terza volta verso di lui.
Lo seguiva. Per lui, (Prajāpati) gettava (i
capelli). Erano divenuti gli alberi. In questi (alberi), (Agní) si deliziava (o
stava, aramata) più a lungo in un certo senso. (...) Mṛtyú sta lontano (vi ... ramate) da colui il quale, così
conoscendo, pone un pezzo di legno in Agní.
Agní induce Prajāpati stesso a
generare le piante – come cibo per Agní. Solo con gli
alberi, Prajāpati riesce a rallentare la corsa di Agní verso di lui.
2.
Prajāpati
è il cibo, per Morte. Perciò,
Prajāpati genera (emette le
geniture, gli armenti). Le
geniture, gli armenti divengono il cibo,
per Morte. Così, Prajāpati salva
se stesso, da Morte.
ŚBM, 2, 2, 4, 1-7. All’inizio,
Prajāpati fu qui, unico. Egli rifletteva: “In quale modo posso generare?”.
(...) Egli generò Agní dalla bocca. In quanto lo
generava dalla bocca, perciò Agní è un divorante. Colui il quale così conosca
questo Agní (come) un divorante, (costui) diviene un divorante. (...) In quel tempo, la
terra fu spoglia. Non furono le piante né gli alberi. (...) Allora Agní tornò verso di lui (= Prajāpati) con la bocca spalancata. (...) Egli ricercò un’oblazione in se
stesso. (...) In questo modo, Agní (placato, śāntaḥ K, 1, 2, 4, 5) si distolse
(da Prajāpati). Offerto, Prajāpati e generava
e salvava se stesso da Agní, da Morte in procinto di divorar(lo). Colui il
quale, così conoscendo, offre l’agní-hotrá, genera questa
prájāti1 che Prajāpati
generava; così inoltre salva se stesso da Agní, da Morte in procinto di
divorar(lo).
Agní
induce Prajāpati a generare. Le geniture sono il cibo di Prajāpati – e di Agní:
ŚBK,
3, 1, 10, 1 e 2. Infatti, Prajāpati emise le geniture; emise anche Agní. Emesso, Agní si risolse ad ardere (dágdhuṃ
dadhre) queste geniture. Egli – ardendo – si avvicinò a
queste geniture. Queste geniture – arse – si risolsero ad estinguerlo, a
disperderlo. Egli – estinto – disse all’uomo: “Ti penetro. Che tu –
generato(mi) – mi sostenti! Infatti, come tu mi sostenterai (con i sacrifici)
in questo mondo, così io – generato(ti) – ti sostenterò in quel mondo”. “Sì”.
(Agní) lo penetrava. Perciò, dissero: “Ogni uomo è provvisto di Agní”. Agní ha
penetrato l’uomo. Perciò, l’uomo lo genera – non l’altro armento.
ŚBM,
2, 3, 3, 1 e 2. Infatti, quando Prajāpati emise le geniture, quando egli emise Agní, egli (Agní) – nato – si risolse ad ardere tutto qui (ŚBM, 1, 4, 1, 14). Le geniture – che furono in quel tempo – si risolsero così a
disperderlo in una grande confusione. Egli – non sopportando (questo) – andò
verso l’uomo. Egli (Agní) disse: “Io non sopporto questo. Avanti, che (io) ti
penetri!...”.
Attraverso l’uomo, Agní riuscirà infine ad ardere
questo tutto e tutte queste geniture? Se tutte le geniture – come gli armenti – sono solo il cibo di Agní, di Prajāpati, di Mṛtyú, allora l’aldilà
per l’uomo è solo in Mṛtyú o in Agní stesso: «Colui il quale
così conosca respinge la morte ricorrente. Morte non lo ottiene: Morte diviene l’ātmán di lui. Attinge
alla vita integra. Diviene l’unico di queste divinità» (ŚBM, 10, 6, 5, 8).
ŚBM,
3, 7, 3, 6. Allo stesso modo (dei Devā),
quest’(uomo), rinchiuso l’armento e suscitato Agní, offre Agní in Agní. Esso
(l’armento) comprende: “Infatti, questo è il corso del cibo sacrificale, questo
è il fondamento: infatti, offrono il cibo sacrificale in Agní!”. In questo
modo, (l’armento) accondiscende. In questo modo, diviene disposto
favorevolmente (rātámanā) all’immolazione.
Come Agní rende gli uomini acquiescenti alla loro morte
(anche ŚBM, 2, 2, 2, 14), così i Devā rendono gli armenti acquiescenti
all’immolazione, con Agní. Gli uomini sono come gli armenti.
ŚBM,
10, 1, 4, 13 e 14. Colui il quale edifica Agní (per se stesso) diviene
(bhavati) questa forma di Agní (= l’Agní
deposto, ŚBM, 9, 2, 3, 49).
“Tutto qui è il cibo di Agní. ‘Tutto qui è il mio cibo’, può conoscere colui il
quale così conosca (evaṃvíd)”. In merito,
dissero: “Che cosa è fatto nell’Agní (edificato), attraverso il quale lo
yájamāna respinge la morte ricorrente?”. Colui il
quale edifica Agní (per se stesso) diviene (bhavati) questa divinità: Agní.
Inoltre, Agní è l’amṛ́ta (ŚBM, 2, 2, 2, 8).
Il
Cielo e la Terra – da Agní – generano il cibo per Agní stesso (TS, 5, 5, 4, 1 e
2). Le geniture – il cibo, per Prajāpati –
generano, per dare un cibo abbondante a Prajāpati
(PB, 21, 2, 1). Prajāpati – il cibo, per Morte – genera, solo per dare più cibo a Morte. All’inizio,
infatti, il cibo per Morte può essere esiguo.
Perciò, Morte induce Prajāpati a
generare:
ŚBM, 10, 6, 5, 1-5. All’inizio, quaggiù
non vi era niente. Questo (tutto) era avvolto da Morte; da Fame (era avvolto),
poiché Morte è Fame. (Morte) si costituiva Mente: “Posso essere, provvisto di
un ātmán”. (...) Egli (Morte) desiderava: “Può nascere per me un secondo
ātmán”. Attraverso Mente, egli
diveniva un’unione con Parola; Morte, con Fame. Ciò che era il réta diveniva
l’Anno. (...) Lo (= il réta) portava tanto quanto è il tempo di un anno. Alla
fine di tanto tempo, lo emetteva. Nato (Prajāpati-Saṃvatsará), (Morte) apriva la bocca su di
lui (per divorarlo). (...) Egli (Morte) rifletteva: “Se ucciderò (ora1) questo (Prajāpati-Saṃvatsará), renderò esiguo il (mio) cibo!”.
Con questa Parola, attraverso questo ātmán (Prajāpati-Saṃvatsará), egli (Morte) emetteva questo tutto (...) la
genitura, gli armenti. Ciò che emetteva, egli
(Morte) era risolto a divorarlo1.
“Divora tutto”: è ciò che di Áditi è proprio di Áditi (TS,
7, 4, 3, 1 e 2). Colui il quale così conosca ciò che di Áditi è proprio di Áditi
diviene il divorante di tutto (e) tutto diviene il suo cibo.
ŚBM, 7, 1, 2, 15. Questi soffi in
basso2 sono la
generazione (prájātir). Poiché, in quanto fa l’urina, in quanto
le feci, genera.
ŚBK,
1, 2, 4, 3. Prajāpati fu spaventato da lui (da Agní): “Ho generato
un divorante – questo (Agní) – da me stesso. Inoltre, non (vi) è qui un altro
cibo (da me, M, 2, 2, 4, 3), che questo (Agní) (mi auguro) non può divorare”. In quel tempo,
questa terra fu spoglia. Ciò fu nella mente di lui (di Prajāpati). Allora Agní tornò verso di lui con la bocca spalancata.
ŚBM, 10, 1, 3, 2 e 3. Una parte di Prajāpati era mortale; una parte, amṛ́ta.
In quanto (una
parte3) di lui era mortale
(mártyam), così (Prajāpati)
temeva Morte. Spaventato, egli
penetrava questa (terra), divenuto duplice (dvayáṃ): e l’argilla e le acque (= feci e urina4).
Morte diceva ai Devā: “Che cosa è divenuto di colui il quale ci ha emessi?”.
“Spaventato da te, ha penetrato questa (terra)”. Egli diceva: “Che (noi) lo
ricerchiamo! Che lo raccogliamo! Io non lo ferirò”. I Devā lo raccoglievano da
questa (terra). (...) Raccolti entrambi, e
l’argilla e le acque, (i Devā) avevano fatto un mattone (íṣṭakām). Perciò,
il mattone diviene entrambi: e l’argilla e le acque.
Prajāpati è disfatto con le sue cinque parti mortali (ŚBM, 6, 1, 2, 17; M, 10, 1, 3,
4).
ŚBM, 8, 3, 3, 9 e 10 e 12. Da Prajāpati, disfatto,
tutti gli esseri si allontanavano, in tutte le direzioni. Prajāpati che si
disfaceva è questo Agní che è edificato. Allora quegli esseri che si allontanavano da lui, loro sono questi
mattoni. In quanto dispone questi (mattoni),
li riporta (prátidadhāti) in lui
(in Prajāpati), quegli esseri che si erano allontanati da lui4.
(...) Quando i Devā lo mettevano insieme,
ponevano in lui, al centro, tutti quegli esseri. Allo stesso modo, questo (yájamāna) (li) pone in lui.
ŚBM, 7, 1, 2, 4. Loro (i Devā) dicevano (ad Agní):
“Questo Prajāpati è il cibo. Con te (come) bocca, che (noi) mangiamo questo
cibo! Con te, questo (Prajāpati) sarà il cibo delle nostre bocche”. “Sì”. Perciò,
i Devā mangiano il cibo con Agní (come) bocca.
ŚBM, 10, 4, 3, 9. Morte diceva ai Devā: “In questo
modo, tutti gli uomini diverranno amṛ́tā. Allora quale diverrà la parte per
me?”. Loro dissero: “Dopo (di noi), nessuno sarà amṛ́ta insieme con il corpo
(saha śarīreṇa). Quando tu prenderai questa parte (= il corpo), allora – separatosi
dal corpo – sarà amṛ́ta colui il quale sarà amṛ́ta attraverso la conoscenza,
attraverso l’opera”. Infatti, in quanto dicevano: “attraverso la conoscenza,
attraverso l’opera”, l’Agní (edificato) è questa conoscenza, inoltre l’Agní
(edificato) è quest’opera.
ŚBM, 2, 2, 4, 8. Quando egli muore (e) quando lo pongono (abhyādádhati) in Agní, questo (yájamāna) nasce da
Agní. Allora Agní arde (solo) il suo corpo (śárīram). Come egli può nascere da un padre (e) da una madre, così questo
(yájamāna) nasce da Agní.
ŚBM, 11, 7, 1, 2 e 3. Infatti, i Fuochi dello yájamāna – mentre offre – aspirano alla carne. Loro si
rivolgono allo yájamāna, risolvono sullo yájamāna. Negli altri fuochi, (gli
uomini) cuociono ogni tipo di carne. Allora da questi (Fuochi) non è trovata
nessun’altra carne da (quella) (dell’armento) e di colui (del) quale questi
(Fuochi) sono (= lo yájamāna). In quanto sacrifica, con il paśubandhá, egli riscatta se stesso: un maschio, con un maschio; poiché l’armento
è un maschio (e) lo yájamāna è un maschio. Infatti,
inoltre, la carne è il cibo supremo. Egli diviene il divorante del cibo
supremo.
PB
– MS – JB – TB – JUB – VB
PB, 7, 8, 2. Prajāpati diceva: “Questo è
nato da me; questo è mio”. Agní diceva: “Questo è nato (come) il mio cibo; questo è mio”. Índra
diceva: “Questo spetta al migliore; io sono il migliore di voi; questo è
mio”. I Víśve-Devā dicevano: “Ha noi (come) divinità ciò
che si è originato dalle acque; questo è nostro”.
TB,
1, 1, 10, 1. Prajāpati diceva (ai Devā e agli Ásurā):
“Questa (virāj) è mia! Le mungiture
(di virāj) sono vostre!”.
MS,
3, 3, 6. Infatti, emesso, Agní aspirava ad un parte
(bhāgadhéyam) (per se stesso). Egli andava da Prajāpati. (Prajāpati)
gli dava il cibo5, per la (sua) gioia (kaṃtvāya).
Diveniva per lui (per Agní) la gioia. Infatti, la gioia (kám) è il cibo. Con
il cibo, accudisce Agní, per la (sua) gioia.
PB,
13, 3, 22. Agní – emesso – non divampava.
Con questa melodia, Prajāpati soffiava su di lui. Egli divampava. – Anche MS, 1, 6, 8.
JB, 3, 171. Prajāpati emetteva il cibo. Tutti i Devā lo pretendevano: “È mio! È mio!”. Agní
desiderava: “Io posso conseguire (o vincere), qui, il cibo”. Egli vedeva questa
melodia. Così, lo afferrava6. Vinceva. Tutto il cibo è in Agní.
Perciò, a qualsiasi divinità offrano, offrono in Agní.
Saltava su questo (cibo).
TB, 2, 1, 6, 4 e 5. Non (avendo) trovato
un altro, per essere immolato, egli (Agní) si rivolgeva a (tornava verso)
Prajāpati. Egli (Prajāpati) temeva Morte. Egli produceva da se stesso il Sole
lassù7. (Avendo)lo offerto, (Agní) si
distoglieva (da Prajāpati). In questo modo, infatti, egli (Prajāpati)
respingeva Morte. Colui il quale così conosca respinge Morte.
MS, 1, 6, 7. Infatti, Agní – che divora carne, che
arde tutto – ardeva questi mondi. Prajāpati – intonando il vāra-vantīya,
portando (un ramo di) varaṇá – lo
incontrava. Lo placava.
MS, 1, 6,
5. Infatti, emesso, Agní rimaneva – crepitando, non acceso. Prajāpati
temeva: “Questo (Agní) mi
ferirà8”. Lo accendeva, con la śamī. Lo placava.
JUB, 3, 38,
1-3. Bráhman emetteva Prajāpati. Lo emetteva, senza la vista9, senza
la bocca. Bráhman entrava in lui, (in Prajāpati) steso (śayānam) senza la vista,
senza la bocca. (...) Infatti, Bráhman è il prāṇá10. Il prāṇá
entrava in lui (in Prajāpati). Egli (Prajāpati) si sollevava –
procreatore delle geniture11.
ŚBM, 10, 3, 3, 6. “Agní è il prāṇá. Infatti, quando l’uomo dorme, dunque (tárhi) la parola
va nel prāṇá; la vista, nel prāṇá; la mente, nel prāṇá; l’udito, nel prāṇá.
Quando si risveglia, (i prāṇā) nascono ancora, dal prāṇá”.
VB, 4, 109. Bráhman emetteva Agní (e) Prajāpati12. Egli emetteva Prajāpati nella
forma di un uomo. Agní
inoltre è questo Mṛtyú.
Egli13 correva verso Prajāpati,
con
la forma di colui il quale era in procinto di divorar(lo). Prajāpati vedeva l’armento relativo a Prajāpati (come)
salvezza di se stesso. Lo immolava. Con i (suoi) peli salvava i propri peli.
Con la (sua) pelle, la (propria) pelle. Con la (sua) carne, la (propria) carne.
(...) Perciò, l’armento relativo a Prajāpati può essere con un ātmán, con tutte
le membra, provvisto dei testicoli. Poiché è la salvezza di se stessi.
3.
Prajāpati
riunifica e reintegra tutti gli esseri a se stesso. Ma Prajāpati non divora gli
esseri. Morte divora gli esseri. Prajāpati è il rivale di Morte.
ŚB
ŚBM, 10, 4, 4, 1 e 3. Infatti,
mentre Prajāpati stava emettendo le geniture, Morte – il male
– (lo) soverchiò. Egli (Prajāpati)
ardeva l’ardore, per mille anni, desiderando di lasciare il male. (...) Nel
millesimo anno, egli si purificava (’tyapavata), per intero. (...) Allora il male dal quale si purificava è qui
il corpo.
ŚBM, 10, 1, 3, 1 e 2. Prajāpati
emetteva le geniture. Dai soffi in alto, egli emetteva i Devā. Dai soffi in
basso, le geniture mortali1.
Allora, al disopra (urdhvám) delle geniture (mortali), (Prajāpati) emetteva
Morte: il (loro) divorante. Una
parte di Prajāpati era mortale (mártyam); una parte, amṛ́ta. In quanto (una parte) di lui era mortale, così (Prajāpati) temeva Morte. Spaventato, egli penetrava
questa (terra), divenuto duplice (dvayáṃ): e l’argilla e le acque (= feci e urina, M, 10,
1, 1, 11).
ŚBM,
10, 4, 2, 2 e 3; 21 e 22; 27. Emessi tutti gli esseri, egli (Prajāpati) si
pensò come svuotato. Egli temette Morte2.
Egli rifletté: “In quale modo io posso mettere ancora tutti questi esseri nel corpo, posso porme(li) ancora nel corpo? In quale modo io posso
essere ancora il corpo di tutti
questi esseri?”. (...) Allora considerava tutti gli esseri. Egli vedeva tutti gli esseri nella Triplice
Sapienza3. (...) Prajāpati
rifletteva: “Tutti gli esseri sono nella Triplice Sapienza. Avanti, che (io)
completi il corpo con la Triplice Sapienza!”. (...) Così, (Prajāpati) metteva questa Triplice Sapienza nel corpo;
se (la) rendeva nel corpo (o in se stesso).
In
questo modo, Prajāpati «diveniva il corpo di tutti gli esseri4» (ŚBM, 10, 4, 2, 27).
Così, lo yájamāna «diviene il corpo di tutti
gli esseri» (ŚBM, 10, 4, 2, 30).
ŚBM,
4, 6, 7, 5. E gli inni e le melodie sono
Parola. Le formule sono Mente. Ovunque era questa Parola, tutto era fatto,
tutto era conosciuto. Allora, ovunque era Mente, niente era fatto, in un certo
senso, (niente) era conosciuto.
Morte è il prāṇá dal Sole nell’uomo e dall’uomo nel
Sole: Morte dà il prāṇá e prende il prāṇá:
ŚBM, 10, 5, 2, 13. Colui il quale è quel púruṣa nel disco (del Sole), e
il quale è questo púruṣa nell’occhio destro, costui è Morte. I piedi di lui (di
Morte) sono stabiliti entrambi (átihatau) nel cuore di lui (dell’uomo).
(Avendoli) strappati entrambi (dal cuore dell’uomo), (Morte) va via. Quando
egli (Morte) va via (utkrāmaty), allora l’uomo
muore. Perciò, inoltre, dissero (del) morto (prétam):
“(Morte) di lui è stato strappato”.
ŚBK, 3, 1, 9, 1.
Queste geniture (al disotto del Sole) sono trattenute nei loro respiri,
attraverso i raggi (raśmíbhir abhíhitā) di Morte. Come un cavallo può essere
trattenuto con la redine (raśanáyābhíhitaḥ),
così (sono trattenute). Come un rājā vittorioso non aspira a niente,
così quel (Sole, Morte) non aspira a niente. Egli tramonta con il respiro di
colui il quale desidera; sorge, con il respiro di colui il quale desidera. – Anche ŚBK, 17, 5, 5, 2.
ŚBM, 10, 5, 2, 18 e 19. “Quel disco (del Sole) che arde è il cibo. Allora colui il quale è quel
púruṣa (= Morte) nel disco, costui è il divorante. Ritirato in quel cibo, egli
risplende”,
in merito alla divinità. Allora, in merito
all’ātmán, il corpo (śárīram) qui è il cibo. Allora colui il
quale è questo púruṣa nell’occhio destro (= Morte), costui è il divorante. Ritirato in questo cibo, egli risplende.
ŚBM, 10, 4, 1, 18. Queste sedici parti (del corpo) portano il cibo al prāṇá. Quando loro
si risolvono a non portar(lo), allora, divoratele, (il prāṇá) va via.
ŚBM,
10, 5, 2, 16 e 17. Dissero: “Morte è unico o numeroso?”. “È e unico e
numeroso”, può rispondere. In quanto è lassù, di là da qui (amútra, nel Sole),
così (Morte) è unico. Allora, in quanto è numerosamente suddiviso, qui, nelle geniture, così (Morte) è
numeroso. Dissero: “Morte è vicino o lontano?”. “È e vicino e lontano”, può rispondere. In quanto è in questo
(mondo), qui, in merito all’ātmán, così (Morte) è vicino. Allora, in quanto è
lassù, di là da qui, così (Morte) è lontano.
JB
JB, 3, 341 e 344. Egli (Prajāpati) desiderava: “Posso essere molteplice. Posso generare”. Egli in questo
mondo emetteva (...) i Devā – i Vásavaḥ. Si affrettavano verso di lui.
“Dolce, dolce”, lo divoravano. Come un bambino – nato – può succhiare la madre,
così lo succhiavano. Egli rifletteva: “Se diverrò qui, mi esauriranno. Avanti,
che (io) vada via verso l’alto!”. (...) Egli giungeva dove è Morte. Diveniva
Morte. Si rendeva (tutte) le membra una
bocca. Divenuto Morte con la bocca in ogni direzione, seguitolo, (i Vásavaḥ) sedevano,
guardando(lo), senza avventurarsi vicini (a lui). Lì non lo divoravano. Egli
rifletteva: “Sono il male (io) che sono Morte. Avanti, che (io) vada
via, verso l’alto!”. (...) Diveniva Fame. Divenuto
Fame, (i Vásavaḥ) non lo seguivano, spaventati. Rimanevano, seguendolo con lo
sguardo: “Splende lassù, splende lassù!”. (...) Egli rifletteva: “Sono il male
(io) che sono Fame. Avanti, che (io) vada via, verso l’alto!”. Egli
oltrepassava (pratinyadadhāt, lasciava indietro) il giorno e la notte. Loro
divenivano e la sete e la fame. La sete è il giorno. La fame è la notte. Come
due sentinelle possono essere situate, così il giorno e la notte sono situati,
per non permettere di passare. Ma loro conducono (o ammettono) inoltre colui il
quale così conosca5.
JB, 3, 351. Presi
i prāṇā, scrollatosi del corpo, questo (prāṇá) va via verso l’alto (urdhva utkrāmati), insieme con i prāṇā6
(ora nel prāṇá). Infatti, con questo (prāṇá), Morte rimuove (harati) i corpi
oltrepassati. Come due steli (iṣīke) possono
essere stabiliti in un pezzo di terra (mṛtpiṇḍe), così i piedi di questa
divinità sono stabiliti entrambi (adhihatau) nel cuore di lui (dell’uomo).
Quando (li) strappa entrambi, allora (l’uomo) muore. Anche coloro i quali non
conoscono qui dicono: “(Il prāṇá) di lui è stato strappato”. Questa divinità – fino
alla vecchiaia – non va via (notkrāmati) da colui il quale così conosca7;
(costui) attinge alla vita integra.
Note.
3.1
1
«Poiché, rinchiusi (gli armenti o gli animali) e con il
vigore e con il metro, (Prajāpati) se li
poneva in se stesso, se (li) rendeva in se stesso. Allo stesso modo, questo (yájamāna),
rinchiusi (gli armenti) e con il vigore e con il metro, se li pone in se
stesso, se (li) rende in se stesso» (ŚBM,
8, 2, 4, 16). Anche ŚBM, 9, 4, 1, 2. – Anche MS, 2, 1, 11. «E i Devā e gli Ásurā rivaleggiavano. Gāyatrī
– afferrato tutto il cibo – rimaneva in mezzo a loro».
2
Oppure, (vi) riprodurrete, prajaniṣyadhva. «Infatti, con
queste melodie, Prajāpati faceva scorrere (per se stesso, adugdha) tutti i
desideri, da questi mondi. (...) Colui il quale, così conoscendo, canta con
queste melodie, fa scorrere (per se stesso, dugdhe) tutti i desideri, da quesi
mondi» (PB, 21, 2, 5 e 6). Altrove, Prajāpati
e Mṛtyú
sono rivali (ŚBM, 8, 4, 4, 2 e GB, 2, 3, 12; M, 10, 4, 4, 1; JB, 2,
69) e
Prajāpati sottrae a Mṛtyú
(JB, 1, 283 e 284).
3 Letteralmente, A loro – gli avevano detto: “Giura!” – giurava, (con la
melodia) con il finale ṛtá. Anche JB, 2, 164.
«Prajāpati
desiderava: “Posso generare, molteplice, attraverso la genitura,
attraverso gli armenti. Posso emettere le geniture, gli armenti due a due (dvandvaṃ)”».
4 «Emesse, loro non generavano. Agní
desiderava: “Io posso indurle a generare”. Egli dava l’angoscia a Prajāpati.
Egli (Prajāpati) era angosciato – aspirando alla genitura. Perciò, e colui il quale
mangia (bhunákti) le geniture e
colui il quale non (le mangia), entrambi sono angosciati – aspirando alla
genitura» (TB, 1, 6, 2, 1). Agní
nasce dall’unione tra Purūrávas e Urváśī – tra l’aráṇi superiore e quella
inferiore (ŚBM, 3, 4, 1, 22; K, 4, 4, 1, 14). Ma in KS, 8, 3.
«Infatti, in questo mondo, Prajāpati emetteva le geniture. Loro
generavano». Anche TS, 5, 3, 6, 2 e 3.
5
«Infatti, quando soffoca (tāmyaty), allora muore» (JB, 3, 79). – Prajāpati dà e prende i prāṇā delle geniture: «Emesse, loro erano andate via da lui. (Prajāpati) prendeva (...) i loro prāṇā. Prese nei
prāṇā, loro tornavano ancora vicine
a lui. Dava (...) loro ancora (indietro, punaḥ) i prāṇā» (PB, 7, 5, 2). Anche JB, 1, 111 e 166.
6 Per Prajāpati: «Le geniture si accrescono (per) un anno, quando, così conoscendo,
canta, con il saúbhara (con il śyaitá, PB, 7, 10, 15)» (PB, 8, 8, 15). «Così, (...) le sfiorava. Loro – dotate da
lui della forza – si accrescevano (avardhanta)» (JB, 3, 148).
7 «Perciò, gli armenti portano
gli embrioni (sino) al decimo mese. Loro generano in seguito l’undicesimo
(mese). Nessuna (femmina) oltrepassa il dodicesimo (mese). Poiché è afferrata
con questo (dodicesimo mese)» (JB, 1, 67).
8 «Poiché correva
fuori; poiché andava via. Poiché è preso nel réta; poiché è senza genitura» (JB, 1, 67).
9 «Colui il quale, così conoscendo, canta con l’agní-ṣṭomá, induce a nascere le geniture non nate (e)
afferra (quelle) generate. L’agní-ṣṭomá è il sacrificio eminente –
il sacrificio di Prajāpati. Colui il quale così conosca giunge al
jyaíṣṭhya, al śraíṣṭhya» (JB,
1, 67). Anche PB, 21, 2, 3 e 4. «Queste
sono le eminenti melodie, le superiori melodie: le melodie di
Prajāpati. Colui il quale così conosca raggiunge il jyaíṣṭhya, il śraíṣṭhya».
Anche PB, 6, 3, 8 e 9. «L’agní-ṣṭomá è il sacrificio
eminente (jyeṣṭhayajño). Prajāpati
emetteva le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya. Egli
vedeva questo agní-ṣṭomá. Lo
offriva. In questo modo, le geniture rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il śraíṣṭhya».
10
Anche MS, 2, 5, 6. «Prajāpati emetteva
le geniture. Emesse, loro lo disdegnavano. Induceva Váruṇa ad afferrarle – disdegnanti. Loro
afferrate da Váruṇa, saltava fuori un montone nero. Seguito(lo), (Váruṇa) afferrava il suo piede. Il suo zoccolo era
strappato via (prāvṛhyata).
Egli (il montone) diveniva (nero) con un
piede bianco. (Prajāpati) lo notava:
“Questo (montone) non è afferrato da Váruṇa,
tra queste geniture. Con questo (montone), che (io) sottragga queste geniture a Váruṇa!”.
Lo immolava a Váruṇa. In questo
modo, queste geniture erano liberate da Váruṇa».
Anche KS, 13, 2. «Prajāpati emetteva
le geniture. Loro lo avevano offeso. Induceva Váruṇa ad afferrarle – offensive. Loro – afferrate da Váruṇa – giacevano – incurvate, cadute. (...) Egli vedeva questo (montone) non afferrato da Váruṇa: “Con questo
(montone), che (io) le sottragga a Váruṇa!”. Lo immolava
a Váruṇa. Così, le sottraeva a Váruṇa». – Anche TS, 2, 1,
2, 1. «Prajāpati emetteva le
geniture. Emesse, loro andavano lontane da lui. Loro raggiungevano Váruṇa. Le seguiva. Le richiedeva
indietro. Non gliele dava indietro. Egli (Prajāpati) diceva: “Scegli un vára! Poi dammi
indietro!”». Anche MS, 1, 5, 12. «Allora dissero: “Infatti, divenuto la notte, Váruṇa
faceva scomparire gli armenti”».
11 Anche JB, 2, 231. «Emesse da
lui, le geniture mangiavano l’orzo di Váruṇa. Váruṇa le afferrava, con il laccio di
Váruṇa».
12 Anche ŚBK, 1, 1, 1, 4. «Infatti, quel cielo diede gli armenti a questa terra.
Loro sono il sale (ūṣās). (...) Poiché il sale è in modo evidente questi armenti». Il sale proviene dal cielo (JB, 1, 145; AB, 4, 27). Anche JB, 3, 236. «Loro (gli
armenti) penetravano l’oceano. Diveniva il sale (lavaṇam). Perciò, dissero: “Le
vacche sono il sale”. Perciò, inoltre, (per) colui il quale intraprende uno
scambio, con il sale, divengono delle vacche».
13 «Agní desiderava: “Posso essere un
divorante”. Egli ardeva l’ardore. Egli vedeva questo gauṅgava. Così, diveniva
un divorante. In quanto, trovato il cibo, gridava di gioia, in quanto urlava di
gioia, è ciò che del gauṅgava è proprio del gauṅgava» (PB, 14, 3, 19).
14 «Poiché,
presi, egli offriva (i capelli) così (in Agní)» (MS, 1, 8, 1).
3.2
1
Oppure,
aveva iniziato a divorar(lo). Anche ŚBM, 11, 3,
3, 1. «Infatti, Bráhman
dava le geniture a Morte. Non gli dava l’apprendista. Egli (Morte) diceva: “Che
sia una parte per me anche in lui!”». Anche GB, 1, 2, 6. Inoltre, lo yájamāna genera, poiché così sfama Morte. – Ora,
ovvero prima che Prajāpati-Saṃvatsará abbia generato.
Anche ŚBK, 4, 7, 2, 7. «Queste geniture – lasciate andare (e) non vicine –
generano».
2
«Dai soffi in alto, egli
emetteva i Devā. Dai soffi in basso, le geniture
mortali. Allora, al disopra (urdhvám) delle geniture (mortali), (Prajāpati)
emetteva Morte: il (loro) divorante» (ŚBM, 10, 1, 3, 1). Anche JB, 1, 246. «Infatti, Morte rimane con la bocca aperta (per
divorarlo) su tutto ciò che è qui provvisto di un ātmán in questo mondo».
I «raggi inferiori» in JB, 3, 359.
3 Il corpo, śárīraṃ mártyaṁ (ŚBM, 10, 1, 4, 1; M, 10, 4, 3, 9). Mentre il corpo mortale, umano è
l’argilla, l’amṛ́ta è l’oro (ŚBM, 7,
4, 2, 17; M, 10, 1, 4, 9). Agní vede se stesso nelle acque e vi versa
l’oro; perciò, la «forma finale» di Prajāpati è d’oro: l’oro è l’amṛ́ta (ŚBM, 10, 1, 4, 9;
M, 7, 4, 2, 17). Anche ŚBM, 2, 1, 1, 5. «Agní si rivolse (con la mente) alle acque: “Posso essere in un’unione
con loro”. Si unì con loro. Versava il réta in loro: diveniva l’oro. (In loro, versò il réta: l’oro, K, 1, 1, 1, 3)».
4 L’argilla e le
acque sono l’íṣṭakā:
«Perciò, l’íṣṭakā diviene entrambi:
e l’argilla e le acque» (ŚBM,
10, 1, 3, 3). L’íṣṭakā e così l’Agní edificato: «Allora ciò che è mortale (mártyaṃ), (...) divenuto duplice, va in (ápyeti)
questa (terra): e l’urina e le feci.
Ciò che va in questa (terra) va in quest’Agní edificato» (ŚBM, 10, 1, 1, 11). Ma Agní stesso è come gli armenti:
«Come
la cenere di Agní si posa, così le loro (= degli
armenti) feci si posano» (ŚBM, 6, 2, 1, 5). – Le geniture mortali generate da Prajāpati sono
i mattoni di argilla e di acque: «Da Prajāpati,
disfatto, tutte le geniture andavano via, dal centro, dalla loro matrice. (...)
Allora quelle geniture che
andavano via da lui, dal centro, loro sono questi mattoni (relativi a)i Víśve-Devā. In quanto dispone questi (mattoni), le induce ad introdursi (prápādayati) in lui (in Prajāpati), quelle geniture che erano
andate via da lui, dal centro» (ŚBM, 8, 2, 2, 5 e 6). Anche ŚBM, 6, 1, 2, 23. Tutte le geniture –
solo il cibo, per Prajāpati – sono riportate in lui. Così, TS, 5, 5, 2, 1. «(Prajāpati) non era in grado di raccogliersi ancora da
loro (= dalle geniture). Egli diceva: “Colui il quale mi metterà ancora
insieme, da qui, solo costui prospererà”». Il
rito rende integro Prajāpati (ŚBM, 13, 3, 1, 1; TB, 3, 9, 8, 1).
5
«Per lui, accomodava
la parte – l’agnyupasthāná» (KS, 7,
5). Così, i Devā temono Rudrá: «Loro dicevano a Prajāpati: “Infatti, siamo spaventati da lui! In quanto, infatti, questo
(Rudrá) ci può ferire!”. Egli (Prajāpati) diceva: “Che raccogliate del cibo,
per lui! Così (con questo cibo), che lo plachiate!”» (ŚBM, 9, 1, 1, 7). Così,
lo placano, con il cibo – con le oblazioni e con i pezzi di legno (ŚBM, 9, 2,
2, 1; M, 9, 2, 3, 36 e 37), con le carni
e con le ossa (ŚBM, 9, 2, 3, 46). Agní «beve» le oblazioni e «mangia» i pezzi di
legno (ŚBM, 10, 5, 4, 12). Anche MS, 3, 3, 4.
6 O circondava, paryagṛhṇāt. «Prajāpati emetteva le geniture. Loro – emesse – andavano
lontane. Non tornavano indietro. Le accerchiava, con Agní. Loro tornavano
vicine ad Agní...» (AB, 3, 36). Anche PB, 12, 4, 25. «Egli (Agní) andava via da
lui, con le geniture» (TB, 2, 1,
2, 1). Anche JB, 3, 100; 1, 172.
7
Il
Sole è l’occhio di Prajāpati: «Egli
(Prajāpati) offriva (ad Agní) il proprio occhio: il Sole lassù: “In Agní è la
luce; la luce è in Agní!”» (KS, 6,
1). Prajāpati vede tutti gli esseri nella Triplice
Sapienza – nel Sole (ŚBM, 10, 4, 2, 21).
8 «Prajāpati
emetteva l’uomo (púruṣa). Agní diceva: “Che questo (púruṣa) sia il mio cibo!”.
Egli (l’uomo) temeva: “Infatti, questo (Agní) mi arderà per intero”» (TB, 2,
3, 7, 1). Anche TB, 1, 1, 3, 11. «Prajāpati
emetteva Agní. Egli (Prajāpati) temeva: “Mi arderà”.
Lo placava, con la śamī».
«I Devā erano spaventati da lui:
“In quanto, infatti, questo (Agní) ci può ferire!”. (...) Con questa (śamī),
lo avevano placato» (ŚBM, 9, 2, 3,
37). Anche KS, 30, 10. «Prajāpati emetteva gli armenti. Questo
devá (Rudrá) li insidiava. (Prajāpati)
lo placava, con la śamī».
9 O non vedente, apaśyam.
Anche JB, 2, 369. «All’inizio, Prajāpati era emesso qui,
unico – senza discernere un altro, un secondo. Egli rifletteva: “Io sono nato
per primo. Io sono il
migliore. (Vi) è un altro qui oltre a me?”. Egli osservava». Così, Prajāpati si accorge di Bráhman. Anche JB, 2, 174. «Prajāpati desiderava: “Posso
generare, molteplice, attraverso la genitura, attraverso gli armenti. Può non
esser(vi) un altro prima (pūrva) di me”».
10
Agní (ŚBM, 10, 3, 3, 6; M, 10, 5, 2, 14; M, 9, 2, 3, 49). La
divinità è per il ‘potere’. Anche MS, 4, 3, 3. «Vāyú
controlla (nenīyate) e così e
così queste geniture, afferrate al naso. (...) Vāyú conduce (nínayaty) verso di lui la moltitudine,
afferrata al naso». – Prajāpati e
il prāṇá delle geniture: «Prajāpati
emetteva le geniture. Le emetteva, sprovviste del respiro. Dava (...) loro i
respiri. (...) Con il respiro, (...) soffiava verso di loro» (JB, 1, 166).
11 Prajāpati genera e
così si svuota, per Agní. Prajāpati si riempie, come Luna:
«Infatti, Luna è Prajāpati.
Attraverso Prajāpati, lo (= il Sole) placavano» (JB, 2, 6). Pieno,
Prajāpati è il cibo, per Agní? «Sacrificato con l’ekādaśínī,
Prajāpati accresceva (āpyāyayata, riempiva) ancora
se stesso» (ŚBM, 3, 9, 1, 4).
Anche ŚBM, 7, 1, 2, 1 e 7. Luna è il cibo
per il Sole: «Succhiato (Luna), (il Sole) lo sputa. (...) Egli (Luna) si
riempie ancora (púnarāpyāyate). Egli si riempie ancora, per il cibo di lui (del
Sole)» (ŚBM, 1, 6, 4, 20). Perciò, Luna è lasciato andare e ucciso (ŚBK, 7, 1, 1, 6). «In quanto sacrifica, con la paurṇamāsī, immola
il cavallo per il sacrificio (= Luna). Immolato, egli va verso l’amāvāsyā. (...) Sacrificato con l’amāvāsyā, lo lascia
andare. Lasciato andare, egli va verso la paurṇamāsī. (...) Lo
immolano ancora, alla paurṇamāsī» (ŚBK,
3, 1, 8, 3 e 5).
12 Mṛtyú e Prajāpati sono
i rivali come i Devā
e gli Ásurā (JUB, 2, 10, 1).
13 «Questi due (Agní e
Sóma) lo seguivano, con la forma di coloro i quali erano in procinto di
divorar(lo). Egli vedeva questo armento per Agní e Sóma. Lo immolava. Con i (suoi) peli salvava i propri peli...» (VB, 4, 65). Agní
e Sóma sono il giorno e la notte.
3.3
1 «“Per lui, queste piante erano
maturate
(come) cibo. Mangiava. Egli concepiva. Dai
soffi in alto, egli emetteva i Devā. Dai soffi in basso, le geniture mortali”» (ŚBM, 6, 1, 2, 11). Anche JB, 2, 244 e PB, 20, 14, 5.
2
Prajāpati è svuotato, con il corpo, e, con il corpo,
Prajāpati teme Morte. Prajāpati infatti si purifica del corpo. Prajāpati
sottrae se stesso (ŚBM, 8, 4, 4, 2) e tutti gli esseri a Morte. Prajāpati
ottiene gli armenti con l’età (ŚBM, 8, 2, 3, 9 e 14). Morte invece afferra gli esseri quando sono ancora degli embrioni in
Prajāpati (ŚBM,
8, 4, 2, 1 e 2). Morte desidera tuttavia un cibo abbondante: «Egli (Morte) rifletteva: “Se ucciderò (ora) questo (Prajāpati-Saṃvatsará), renderò
esiguo il (mio) cibo!”» (ŚBM, 10, 6, 5, 5). Il corpo è la parte di Morte: «Morte diceva ai Devā: “In questo modo,
tutti gli uomini diverranno amṛ́tā. Allora quale diverrà
la parte per me?”» (ŚBM, 10, 4, 3, 9).
3
La
Triplice Sapienza è gli inni, le melodie e le formule. Gli inni e le melodie
sono le ossa e le carni e così tutti
gli esseri (ṢB, 2, 1, 1). Gli inni e le melodie sono questo tutto, in quanto
sono Parola; le formule sono Mente.
4 Prima, le
geniture rimangono per Prajāpati, e così sono il cibo per lui (ŚBK, 4, 9, 1, 1-3). Perciò, prima
átiṣṭhamānāḥ, gli armenti (ŚBK, 4, 7, 3, 8) e le moltitudini (ŚBK, 4, 4, 2, 1 e
2) rimangono poi con il brāhmaṇá
e con lo kṣatrá, e così sono il cibo per il brāhmaṇá
e per lo kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). Prajāpati è
integrato da tutti gli esseri (ŚBM, 8, 3, 3, 9 e
10) e
da tutte le geniture (ŚBM, 8, 2, 2, 5 e 6) andati via da
lui.
5 Il
dīkṣitá siede al disopra della pelle di un’antilope
nera. Infatti, i peli bianchi e neri
sono l’inno e la melodia – il giorno e la notte – e così questo tutto (TS, 6, 1, 3, 1 e 2).
6 Anche ŚBM, 10, 5, 2, 14 e 15. «Di lui (del prāṇá), questi prāṇā
sono i suoi (svāḥ). Quando egli
(l’uomo) dorme, allora questi prāṇā vanno in lui (= nel prāṇá)
(come) i suoi. (...) Egli –
addormentato – non conosce niente, con questi (prāṇā)». Anche JB, 1, 268. «Gli altri prāṇā
vanno via – non il prāṇá». Quando l’uomo dorme, il prāṇá divora (girati) i prāṇā (JUB, 3, 2, 5-8). Índra,
Mṛtyú è
il prāṇá – all’origine: «Questo prāṇá nel
centro è Índra. Questo (prāṇá) – dal centro – accendeva i prāṇā – attraverso l’indriyá» (ŚBM, 6, 1, 1, 2). Così, i prāṇā sono le membra del corpo e la víś (ŚBM, 6, 1, 1, 3-7; M, 6, 6, 1, 7-10).
7 Così, Agní è «“la vita”, qui» (ŚBM, 10, 2, 6, 19). Infatti, l’uomo vive, sino a quando Morte è in lui. Quando Morte va via da lui, l’uomo muore. Ma Agní è «“l’amṛ́ta”, di là da qui» (ŚBM, 10, 2, 6, 19).
© Frammenti vedici.
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