lunedì 23 dicembre 2019

Introduzione.

Introduzione.

 

In questo libro, sono raccolti i principali passi sul carattere della divinità vedica Prajāpati. In particolare, come si può dedurre dai passi scelti,

 

1. Prajāpati è unico, all’inizio1. Egli desidera di emettere tutte le geniture (o le creature, prajāḥ) e gli armenti. Emessi, le geniture e gli armenti vanno via da lui.

2. Prajāpati si afferma (in vari modi) sulle geniture e sugli armenti. Così, le geniture e gli armenti tornano vicini a lui.

3. Infatti, Prajāpati emette le geniture, solo per la propria prosperità e per il proprio cibo. Così, le geniture sono come gli armenti. (Gli armenti sono solo il cibo).

4. Le geniture tentano di sollevarsi contro Prajāpati (PB, 7, 5, 2). Invano. Esse rimangono infine con Prajāpati, per la sua supremazia. Così, Prajāpati è al centro delle geniture (PB, 17, 10, 2). Rese le geniture nel proprio potere (vaśe kṛtvā), Prajāpati è felice (JB, 1, 118). Prajāpati sottomette gli armenti (PB, 7, 10, 13; JB, 1, 148).

5. Appena emesse, le geniture languono (PB, 7, 10, 15), sono affamate (PB, 8, 8, 14), sono deboli (PB, 14, 5, 13), non generano (PB, 20, 4, 5) e così via. [Molti commentatori, a proposito, accennano a una creazione manchevole]. Prajāpati assiste le sue geniture. Ma le assiste, solo per indurle a prosperare, come degli armenti, e poi divorarle (PB, 21, 2, 1). Infatti, Prajāpati dà spesso il cibo alle geniture e agli armenti: per le geniture e per gli armenti, arriva il momento di dare, dopo aver ricevuto...

 

Prajāpati in succinto ha il ‘potere’ su tutte le creature, sulle sue geniture, e sugli armenti. Perciò, egli istruisce (JB, 3, 152) e insedia (JB, 2, 141) le élites; in particolare, il rājā – dei Devā o degli uomini.

 

1. Prajāpati emette i Devā. Insedia Índra – come rājā – su di loro. I Devā si sottraggono a Índra. (Così come le geniture, all’inizio, sono andate via da Prajāpati). Prajāpati trova il modo di rendere i Devā acquiescenti a Índra.

2. Prajāpati – il divorante delle geniture – rende il brāhmaṇá e il rājanyá2 i divoranti del vaíśya (PB, 6, 1, 10). Il vaíśya genera solo per il brāhmaṇá e per il rājanyá, così come le geniture – il cibo – generano per Prajāpati (PB, 21, 2, 1).

3. Così, i ‘pochi’ – in accordo con Prajāpati – sono al disopra dei ‘molti’. Prajāpati stesso è al disopra delle sue geniture (KS, 29, 9 e 20, 11). Esse – abbondanti – sono solo il suo cibo e come gli armenti per lui. Allora i ‘molti’ sono il cibo e come gli armenti per i ‘pochi’ (per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá).

4. Soltanto i ‘molti’ possono essere il cibo per i ‘pochi’. I ‘pochi’ – come Prajāpati – si aspettano che i ‘molti’ generino. Così, c’è più cibo. Prajāpati induce le sue geniture a generare (PB, 21, 2, 1). Così, il cibo per Prajāpati è abbondante.

5. Il rājā inoltre alle víśaḥ (= ai popoli). Così, le víśaḥ gli appartengono: il rājā3 si circonda di loro, come suoi sostentati4, bhāryāḥ: «Loro sedevano (...) vicini a lui: “Che (noi) siamo delle víśaḥ, per te! Che (tu) ci induca ad aver parte (dopo di te) nel sacrificio!”» (JB, 2, 140). I ‘pochi’ possono sostentare alcuni ‘molti’, anzitutto se questi ultimi sono accondiscendenti. (Gli armenti tornano vicini a Prajāpati, appena egli dà loro del cibo).

 

In questo modo, tutte le geniture sono assoggettate a Prajāpati e tutti i Devā, a Índra (= le víśaḥ, al rājā). – Gli armenti non sono per se stessi: l’uomo li rende solo per se stesso. L’India vedica ha esaminato il rapporto tra l’uomo e i suoi armenti:

 

1. Gli armenti sono solo il cibo, per l’uomo.

2. L’uomo si aspetta che gli armenti generino (altrimenti, il cibo dell’uomo diminuirebbe). Gli armenti prosperano solo come cibo.

3. Gli armenti ricevono il cibo dall’uomo. Perciò, l’uomo pretende il cibo dagli armenti. Si delinea così il ‘sacrificio’.

4. In quanto lo sostentano, gli armenti non possono sottrarsi all’uomo. (Gli armenti sembrano anzi accondiscendenti con l’uomo: JB, 3, 213).

5. Gli armenti non possono che essere più abbondanti degli uomini che sostentano...

 

Così, i ‘molti’ (= le moltitudini degli altri uomini) sono come degli armenti, per i ‘pochi’; ad esempio:

 

TS, 6, 4, 10, 5. Infatti, queste (geniture) eroiche (suvīrāḥ) sono quelle divoranti. Queste (geniture) prolifiche (suprajāḥ) sono quelle divorate. La genitura di colui il quale così conosca nasce (come) divorante – non (come) divorata.

 

Le geniture eroiche divorano quelle5 prolifiche. Perciò, le geniture eroiche si aspettano che quelle prolifiche siano solo come degli armenti:

 

JB, 1, 276. ...perciò, i Devā non ritornano. ...perciò, inoltre, le geniture (i giovani, o gli uomini, prajāḥ) e vanno via e fanno ritorno. (Gli armenti, JB, 1, 106) vanno lontano, la mattina; loro tornano insieme, la sera. Lo sperma è versato, in avanti; è generato (prajāyate, dopo la gestazione), indietro6.

 

Così, le geniture divorate si rinnovano e provvedono alla prosperità delle geniture divoranti. Gli armenti sono solo un cibo per l’uomo (ŚBK, 4, 7, 3, 1). Le víśaḥ sono un cibo – insieme con gli armenti e come gli armenti – per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá:

 

ŚBK, 6, 2, 2, 12-14. Allora gettano (verso) di lui dei pacchetti di sale. Colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, consegue il cibo. (...) Il sale è gli armenti. Infatti, gli armenti sono il cibo evidente. Perciò, divengono dei pacchetti di sale. (I pacchetti di sale) sono avvolti con foglie di aśvatthá. L’aśvatthá è proprio ai Marútaḥ. (...) Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, le víśaḥ sono il cibo. Perciò, sono avvolti con foglie di aśvatthá. I víśyāḥ (li) gettano. Poiché le víśaḥ sono il cibo.

 

Prajāpati stesso rende le sue geniture solo un cibo e come gli armenti (ŚBM, 3, 9, 1, 2; M, 7, 5, 2, 6). Come l’uomo (con lo yūpa) è al disopra degli armenti e li rende un cibo, così il brāhmaṇá e lo kṣatrá (con lo yūpa) sono al disopra delle víśaḥ e le rendono solo un cibo. In un altro testo, il brāhmaṇá e il rājanyá – in accordo con Prajāpati – rendono il vaíśya il loro cibo7. Ma il brāhmaṇá e lo kṣatrá – insediati da Prajāpati – sono solo per Prajāpati stesso:

 

KB, 12, 8. Così, infatti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá, e con lo kṣatrá e con il brāhmaṇá, Prajāpati giungeva ad afferrare (o a circondare) da entrambe le parti, ad ottenere il cibo.

 

Infatti, soltanto gli armenti e le víśaḥ sono per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). Il carattere delle élites vediche – se connesso con quello di Prajāpati – è mostrato nelle pagine che seguono.

 

 

Note.

 

Introduzione.

1 «Prajāpati era qui, unico. Non era il giorno, non era la notte. Egli procedeva in questa cieca tenebra. Egli aspirava (a una luce)...» (PB, 16, 1, 1). «Agní non era emesso. Allora Prajāpati emetteva le geniture. Loro svanivano, con questi mondi, in una cieca tenebra. Egli era afflitto. Egli ardeva. In questo modo, Agní era emesso...» (MS, 1, 6, 6).

2 Prajāpati è il divorante delle geniture e così il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono i divoranti degli armenti e delle víśaḥ, nello ŚBK, 4, 9, 1. I pacchetti di sale – avvolti con foglie di aśvatthá – rappresentano gli armenti e le víśaḥ come cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (ŚBK, 6, 2, 2, 12-14).

3 Il padre può avere due volti: Prajāpati induce Váruṇa ad afferrare le geniture – che lo hanno appena offeso – e subito dopo cura le geniture – afferrate dall’afflizione (KS, 36, 5 e MS, 1, 10, 10).

4 Anche ŚBK, 7, 2, 2, 14. «Infatti, è prospera la víś che sta (e) non va via, (per il rājanyá)». Anche ŚBK, 5, 3, 4, 9. Ma le víśaḥ sono il cibo, per il rājanyá (ŚBK, 7, 2, 4, 11). Infatti, gli armenti prosperano, se stanno con l’uomo (che poi li divora). Le víśaḥ sono solo un cibo e come gli armenti (ŚBK, 6, 2, 2, 12-14). «Infatti, i Devā prevalevano. Mettevano (gli armenti) nelle dimore. In questo modo, il cibo non andava via da loro» (ŚBK, 5, 8, 3, 2).

5 Le víśaḥ, nello ŚBM, 4, 2, 1, 12 e 17. Le geniture prolifiche – in quanto generano ancora e ancora, come cibo per le geniture eroiche – sono correlate con la Luna – il cibo, per il Sole: «Succhiato (Luna), (il Sole) lo sputa. (...) Egli (Luna, masc.) si riempie ancora. Egli si riempie ancora, per il cibo di lui (del Sole)» (ŚBM, 1, 6, 4, 20).

6 Lo yūpa che rende solo un cibo gli armenti (ŚBK, 4, 7, 3, 1 e K, 6, 2, 2, 12) e le víśaḥ (ŚBK, 6, 2, 2, 13 e 14) è cinto con una triplice corda: «Poiché il cibo è triplice. Poiché gli armenti sono il cibo. Il padre, la madre (e) ciò che nasce è il terzo» (ŚBK, 4, 7, 1, 18). Lo yūpa è cinto al livello dell’ombelico: «Pone il cibo in lui. Poiché il cibo qui si stabilisce in questo punto (átra)» (ŚBM, 3, 7, 1, 19). Così, gli armenti e le víśaḥ generano come cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá con la testa al disopra dello yūpa (ŚBK, 6, 2, 2, 11; M, 5, 2, 1, 14 e 15). Anche PB, 6, 1, 10.

7 «Perciò, (il vaíśya) è il divorato e del brāhmaṇá e del rājanyá. Poiché è emesso più in basso (di entrambi)» (PB, 6, 1, 10). Le víśaḥ sono il cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (ŚBK, 6, 2, 2, 13 e 14). Poiché il brāhmaṇá e lo kṣatrá – con la testa sulla cima dello yūpa – sono al disopra delle víśaḥ (ŚBM, 5, 2, 1, 22; K, 6, 2, 2, 18). Con lo yūpa, gli armenti sono il cibo per l’uomo – al disopra degli armenti (ŚBK, 4, 7, 3, 1).

«Come quest’uomo (procede) su due piedi (ed) eretto, così (gli armenti) procedettero su due piedi (ed) eretti. In questo modo, i Devā videro questa folgore: lo yūpa. Lo eressero. Attraverso il timore per esso (per lo yūpa), (gli armenti) erano piegati. In questo modo, erano divenuti su quattro piedi. In questo modo, divenivano il cibo» (ŚBM, 3, 7, 3, 1 e 2). Lo yūpa distingue gli armenti dall’uomo – e le víśaḥ dal brāhmaṇá e dallo kṣatrá: «Allora portano per lui un trono. Colui il quale ottiene (jáyaty) un posto nello spazio intermedio (con la testa sullo yūpa), ottiene un posto al disopra. Questi uomini (le víśaḥ, K, 6, 2, 2, 18) – dal disotto – lo servono – seduto al disopra. Perciò, portano per lui un trono» (ŚBM, 5, 2, 1, 22). Le víśaḥ sono come gli armenti e così sono rese un cibo dal brāhmaṇá e dallo kṣatrá con la testa sulla cima dello yūpa (ŚBK, 6, 2, 2, 12 e 13). Anche, ad esempio, ŚBM, 9, 3, 1, 14-16. «Rende lo kṣatrá concentrato in un unico (ekastha), la śrī concentrata in un unico. (...) Pone l’abbondanza nella víś. (...) Poiché lo kṣatrá è distinto, in un certo senso. (...) Poiché la víś è indistinta, in un certo senso. (...) Poiché lo kṣatrá è sollevato, in un certo senso. (...) Poiché la víś è seduta, in un certo senso. (...) Rende la víś assoggettata, obbediente allo kṣatrá». La víś è come un armento, per lo kṣatrá. «Poiché la testa (= lo kṣatrá) è unica, in un certo senso. (...) Pone nel corpo un’abbondanza di membra (= la víś)» (ŚBM, 6, 6, 1, 10).

 

© Frammenti vedici.

Prajāpati e le geniture (o le creature).

Prajāpati e le geniture (o le creature).

 

1.

Le geniture possono rimanere – per la śrī, per il cibo di Prajāpati. Perciò, Prajāpati emette le geniture. Le geniture sono per Prajāpati – non per se stesse.

 

ŚB

 

ŚBK, 4, 9, 1, 1. Infatti, Prajāpati – emesse le geniture – si pensò come svuotato. Inoltre, le geniture divennero lontane da lui – non rimanevano con lui, per la śrī1, per il cibo.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 2. Egli (Prajāpati) rifletté: “Io (mi) sono esaurito. Inoltre, il desiderio – per il quale ho emesso le geniture2 – non è stato soddisfatto (raggiunto) per me3: loro (le geniture, M, 3, 9, 1, 2) sono divenute lontane (da me) – non rimangono (tiṣṭhante) con me, per la śrī, per il cibo!”. “In quale modo e posso accrescere ancora me stesso e le geniture possono tornare insieme vicine a me – possono rimanere con me, per la śrī, per il cibo?”.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 3. Sacrificato con questa (ekādaśínī3), (Prajāpati) accresceva (o riempiva) ancora se stesso. Le geniture tornavano insieme vicine a lui – rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per la śrī, per il cibo. Sacrificato (con l’ekādaśínī), egli diveniva migliore (váśīyān).

 

ŚBM, 3, 4, 2, 1 e 2. Loro (i Devā1) – non rimanenti l’uno per la śrī dell’altro – andavano via (divisi) in quattro. Agní, con i Vásavaḥ; Sóma, con i Rudrā; Índra, con i Marútaḥ; Váruṇa, con gli Ādityā. – “Bṛ́has-páti, con i Víśve-Devā”, dissero inoltre alcuni. Ma coloro i quali erano andati via (divisi) in quattro sono questi Víśve-Devā. (...) “Avanti, che (noi) concordiamo! Che (noi) rimaniamo per la śrī di uno solo!”. Loro (tutti i Devā, K, 4, 4, 2, 2) rimanevano (atiṣṭhanta) per la śrī di Índra.

 

PB – TS

 

PB, 9, 6, 7. Prajāpati emetteva le geniture. Egli si pensava succhiato, svuotato (dugdho riricāno). Egli vedeva questo śrāyantīya4. Così, (Prajāpati) rafforzava (o univa5, samaśrīṇāt) se stesso, con la genitura, con gli armenti, con l’indriyá6.

 

PB, 9, 6, 8. Colui del quale la giara è rotta, è come succhiato, svuotato. In quanto il śrāyantīya diviene la melodia del brahmán7, (costui) rafforza ancora se stesso, con la genitura, con gli armenti, con l’indriyá8.

 

TS, 6, 6, 5, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Egli si pensava svuotato. Egli vedeva questa ekādaśínī. Con questa (ekādaśínī), infatti, egli si poneva la vita, l’indriyá, il vīryá9 in se stesso.

 

TS, 6, 6, 5, 1. Colui il quale sacrifica emette le geniture, in un certo senso. Egli allora è come svuotato. In quanto diviene l’ekādaśínī, con questa (ekādaśínī) lo yájamāna si pone la vita, l’indriyá, il vīryá in se stesso10.

 

2.

Le geniture sono il cibo, per Prajāpati, e rimangono, con Prajāpati. Perciò, le geniture (o le creature), gli armenti sono il cibo, per lo yájamāna, e rimangono, con lo yájamāna.

 

ŚB

 

ŚBK, 4, 9, 1, 3. Così (evá), (lo yájamāna1) si accresce, con la genitura, con gli armenti. Le geniture tornano insieme vicine a lui – rimangono (tíṣṭhante) con lui, per la śrī, per il cibo. Sacrificato (con l’ekādaśínī), egli diviene migliore2. Perciò, può sacrificare, con l’ekādaśínī.

 

TB – PB

 

TB, 2, 2, 10, 1-7. Prajāpati emetteva Índra – il più giovane dei Devā. Gli ordinava: “Vai! Che (tu) sia l’ádhipati di questi Devā!. I Devā gli dicevano: “Chi sei tu? Infatti, noi siamo migliori di te”. Egli diceva (a Prajāpati): “‘Chi sei tu?’, i Devā mi hanno detto, ‘Infatti, noi siamo migliori di te’”. Allora, in quel tempo, il fervore – che è nel Sole3 – era qui in Prajāpati. (Índra) gli diceva: “Che (tu) me lo dia! Allora io diverrò l’ádhipati di questi Devā”. “Io chi posso essere”, diceva (Prajāpati), “(avendo)lo dato?”. “Puoi essere”, diceva (Índra), “ciò che dici (= Chi)”. Infatti, Chi è il nome (di) Prajāpati. (...) Fatto un disco d’oro (rukmáṃ), (Prajāpati) lo metteva addosso a lui. In questo modo, Índra diveniva l’ádhipati dei Devā. Colui il quale così conosca diviene l’ádhipati dei pari. (...)

“Questo (Índra) è divenuto qui il supremo”. (...) Colui il quale così conosca raggiunge il vertice supremo (paramām ... kāṣṭhāṃ). I Devā lo (= Índra) circondavano tutt’attorno. I Vásavaḥ, di fronte; i Rudrāḥ, a sud; gli Ādityāḥ, dietro; i Víśve-Devā, a nord; gli Áṅgirasaḥ, sotto; i Sādhyāḥ, sopra. I pari4 lo attorniano (úpa ... saṃviśanti), colui il quale così conosca. Divenuto Prajāpati, egli (Índra) divorava (āvayat5) le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il cibo. Loro – vedendo una bocca davanti – andavano (páryāyan) a sud. Egli si rendeva rasato a sud. Loro – vedendo una bocca davanti, una bocca a sud – andavano dietro. Egli si rendeva rasato dietro. Loro – vedendo una bocca davanti, una bocca a sud, una bocca dietro – andavano a nord. Egli si rendeva rasato a nord. Loro – vedendo una bocca davanti, una bocca a sud, una bocca dietro, una bocca a nord – andavano in alto. Egli si rendeva rasato in alto. Divenuto con un volto (con una bocca) in ogni direzione6, (Índra) le divorava. In questo modo, infatti, le geniture rimanevano (átiṣṭhanta) con lui, per il cibo.

 

TB, 2, 2, 10, 7. Colui il quale, così conoscendo, si rende rasato7 (pári cá vartáyate ní cá), divenuto Prajāpati6, divora le geniture (o gli uomini, prajā). Le geniture rimangono (tíṣṭhante) con lui, per il cibo. Diviene un divorante.

 

PB, 16, 4, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya8. Egli – attratto (pravhya) il succo9 (rasaṃ) di queste direzioni e geniture, fatta (che ne ebbe) una ghirlanda – se (la) metteva addosso. In questo modo, le geniture rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il śraíṣṭhya.

 

PB, 16, 4, 2. I pari (samānāḥ) rimangono (tiṣṭhante) con colui il quale così conosca, per il śraíṣṭhya.

 

PB, 16, 4, 3. Egli (Prajāpati) desiderava: “Índra può essere il migliore (śreṣṭhaḥ) nella mia genitura”. Metteva la ghirlanda addosso a lui. In questo modo, le geniture rimanevano (atiṣṭhanta) con Índra, per il śraíṣṭhya – vedendo (in Índra) l’ornamento10 che vedevano nel padre.

 

Così, Índra – sui Devā e sulle prajāḥ – è da Prajāpati. Anzitutto, il brāhmaṇá e lo kṣatrá – sui paśávaḥ e sulle víśaḥ – sono da Prajāpati:

 

3.

Le geniture sono il cibo, per Prajāpati, e rimangono, con Prajāpati. Perciò, gli armenti, le moltitudini sono solo il cibo, per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá, e sono situati davanti al brāhmaṇá e allo kṣatrá. Inoltre, le moltitudini, per lo kṣatrá, sono come gli armenti, per il brāhmaṇá.

 

ŚB – MS – KS

 

ŚBK, 4, 9, 1, 10. Infatti, Bṛ́has-páti è il brahmán1. Pūṣán è gli armenti. Perciò, il brāhmaṇá1 (è colui il quale) ha più potere sugli armenti. In quanto gli armenti divengono situati davanti (pura-āhitā) (come cibo), situati nella bocca (mukha-āhitāḥ) di lui (asya, del brāhmaṇá). [Nell’ekādaśínī, infatti, Prajāpati e così lo yájamāna immolano la vittima a Pūṣán prima della (davanti alla) vittima a Bṛ́has-páti. Perciò, gli armenti sono situati davanti al brāhmaṇá e sono il cibo per il brāhmaṇá].

 

MS, 4, 3, 8. Infatti, B́has-páti è il brahmán. Infatti, (con) B́has-páti (come) puróhita di certo il rāṣṭrá2 prospera. Ha condotto (átyauhīd) il brahmán davanti (di fronte, purástād) al rāṣṭrá. Allora rende il rāṣṭrá assoggettato (ánukaṃ3) al brāhmaṇá.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 14. Índra è lo kṣatrá1. I Víśve-Devā sono le moltitudini. Infatti, le víśaḥ (le moltitudini, i popoli) sono il cibo. Rende il cibo davanti (di fronte, purástād) allo kṣatrá. Perciò, lo kṣatríya1 è un divorante. In quanto il cibo (= le víśaḥ) diviene situato davanti (a lui), situato nella bocca di lui (asya, dello kṣatrá). [Nell’ekādaśínī, Prajāpati e così lo yájamāna immolano la vittima ai Víśve-Devā prima della (davanti alla) vittima a Índra. Perciò, le víśaḥ sono situate davanti allo kṣatrá e sono il cibo per lo kṣatrá].

 

MS, 4, 3, 8. Infatti, la víś sūtá-mukhā4 rimane vicina (o serve, úpatiṣhate) allo kṣatrá. Per lui (o a lui), pone vicina alla bocca, per il cibo, la víś sūtá-mukhā (mukhato ’nnādyāyópadadhāti).

 

ŚBM, 6, 1, 2, 25. “Infatti, lo kṣatríya è il divorante. La moltitudine (o il popolo) è il cibo. Dove (yátra) il cibo diviene più numeroso5 [abbondante] del divorante, il rāṣṭrá diviene prospero, (il rāṣṭrá) si accresce”. [Questo passo è confermato in seguito da ŚBM, 8, 7, 2, 2].

 

Soltanto gli armenti sono situati davanti al brāhmaṇá. Soltanto le víśaḥ sono situate davanti allo kṣatrá (e le víśaḥ sono come gli armenti). Bṛ́has-páti – il brāhmaṇá con il ‘potere’ sugli armenti – istruisce e insedia Índra – lo kṣatrá con il ‘potere’ sulle moltitudini, sui Devā:

 

KS, 11, 3. Infatti, i Devā non concordavano. Loro andavano via (divisi) in quattro. Agní, con i Vásavaḥ; Sóma, con i Rudrā; Índra, con i Marútaḥ; Váruṇa, con gli Ādityā. Bṛ́has-páti diceva loro: “Che (io) induca a sacrificare! Infatti, voi concorderete (sáṃ ... jñāsyadhva)”. “Che (io) induca a sacrificare, nella tua dimora!”, diceva a Índra, “Infatti, concorderanno, per il tuo śraíṣṭhya6”. (...) Li induceva a sacrificare, nella dimora di Índra. In questo modo, infatti, loro concordavano. Loro concordavano, per il śraíṣṭhya di Índra.

 

KS, 11, 3. I suoi di colui (con) il quale possono non concordare, (il brāhmaṇá) li può indurre a sacrificare, con questa (offerta); concordano nella dimora di colui (per) il quale (il brāhmaṇá) può desiderare: “Questo può essere il migliore”.

 

MS, 2, 2, 6. I Devā – non rimanenti (tiṣṭhamānāś) l’uno per il śraíṣṭhya dell’altro – andavano via (divisi) in quattro. Agní, con i Vásavaḥ; Sóma, con i Rudrā; Índra, con i Marútaḥ; Váruṇa, con gli Ādityā. B́has-páti li induceva a sacrificare, con questa (offerta), per la consonanza. Così, (i Devā) tornavano insieme verso Índra; erano acquiescenti a Índra.

 

MS, 2, 2, 6. Tornano insieme verso colui il quale sacrifica, con questa (offerta); sono acquiescenti a lui.

 

PB – JB – TS

 

PB, 6, 3, 9. Prajāpati emetteva le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya. (...) In questo modo, le geniture rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il śraíṣṭhya.

 

PB, 6, 3, 10. I pari rimangono (tiṣṭhante) con colui il quale così conosca, per il śraíṣṭhya.

 

JB, 1, 91. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro non lo rispettavano. Egli desiderava: Posso raggiungere il śraíṣṭhya di (tra) queste geniture. (...) In questo modo, infatti, egli raggiungeva il śraíṣṭhya di (tra) queste geniture.

 

JB, 1, 91. Colui il quale così conosca raggiunge il śraíṣṭhya dei suoi (svānāṃ).

 

JB, 2, 100. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro non lo rispettavano. Egli desiderava: “Posso raggiungere il rispetto in queste geniture”. Egli vedeva questo sacrificio. (...) Sacrificava, con questo (sacrificio). In questo modo, infatti, loro lo rispettavano. Infatti, inoltre, i Devā non rispettavano Índra. Egli andava da Prajāpati: “Infatti, questi Devā non mi rispettano”. (Prajāpati) gli dava (vyadadhāt) questo sacrificio (per) il rispetto. (...) Sacrificava, con questo (sacrificio). In questo modo, infatti, i Devā lo rispettavano7.

 

Prajāpati non permette alle geniture di sottrarsi a lui e ai Devā (= alle víśaḥ) di sottrarsi a Índra. Così, le prajāḥ e i Devā rispettano soltanto i loro divoranti – Prajāpati e Índra.

 

TS, 7, 2, 5, 2. Infatti, Índra era simile alle divinità. Egli non raggiungeva la vyāvṛ́t (distinzione). Egli andava da Prajāpati. Gli dava il daśarātrá. (...) In questo modo, infatti, egli (Índra) raggiungeva la vyāvṛ́t dalle altre divinità8.

 

TS, 5, 1, 8, 3 e 4. Prajāpati emetteva le geniture. Egli si pensava svuotato. Egli vedeva queste āprī9. Con queste (āprī), infatti, egli gratificava (o riempiva, āprīṇīta) se stesso, dalla bocca (o dalla testa, mukhatáḥ). (...gratificava se stesso, per il vigore; in JB, 2, 181 e 3, 282).

 

TS, 6, 6, 5, 3. Di fronte (alla vittima) a Índra immola (quella) ai Víśve-Devā. Il cibo è (relativo a)i Víśve-Devā. Pone il cibo di fronte. Perciò, il cibo è mangiato di fronte.

 

4.

Soltanto il brāhmaṇá, lo kṣatrá (B́has-páti, Índra) sacrificano, con il vāja-péya, e così conseguono Prajāpati. Il brāhmaṇá, lo kṣatrá salgono con la loro testa, al disopra del palo sacrificale (yūpa). Così, gli armenti, le moltitudini – al disotto – sono il cibo, per il brāhmaṇá, per lo kṣatrá. Le moltitudini sono come gli armenti.

 

ŚB – AB – PB – KB

 

ŚBM, 5, 1, 1, 4. Egli (B́has-páti) diveniva questo tutto. Egli conseguiva (o vinceva, údajayat) questo tutto. Poiché conseguiva Prajāpati. Poiché, inoltre, Prajāpati è questo tutto.

 

ŚBM, 5, 1, 1, 6. Con questo (vāja-péya1), Índra sacrificava. Egli diveniva questo tutto. Egli conseguiva questo tutto. Poiché conseguiva Prajāpati. Poiché, inoltre, Prajāpati è questo tutto.

 

«In quanto B́has-páti sacrificava, con questo (vāja-péya), perciò (il vāja-péya) è il sacrificio del brāhmaṇá. (...) Allora, in quanto Índra sacrificava, con questo (vāja-péya), perciò (il vāja-péya) è il sacrificio dello kṣatríya (del rājanyá, M, 5, 1, 1, 11)» (ŚBK, 6, 1, 1, 8).

 

ŚBK, 6, 2, 2, 11. Allora fa salire (tiharati) la testa sulla cima del palo sacrificale. Così, consegue il mondo dei Devā. (...) Colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, consegue Prajāpati. Prajāpati è questo tutto – questi mondi, queste direzioni. Conseguito Prajāpati, (costui) si appropria (dello yáśa, della gloria, M, 5, 2, 1, 15), dell’indriyá, del vīryá di questo tutto. Colui il quale si appropria (saṃvṅkte) è denominato perciò un saṃrāj (= un sovrano universale).

 

«Colui il quale (= il rājā), sacrificato con il vāja-péya, diviene un saṃrāj, costui si appropria di tutto qui» (ŚBM, 5, 1, 1, 14). «In quanto, sacrificato con questo sacrificio, si appropria di tutto, perciò egli (= il rājā) è denominato un saṃrāj» (ŚBK, 6, 1, 1, 9).

 

ŚBM, 5, 2, 1, 16 e 17. Allora gettano (verso) di lui dei pacchetti di sale. Il sale è gli armenti. Infatti, gli armenti sono il cibo. Colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, consegue il cibo. (...) Perciò, gettano (verso) di lui dei pacchetti di sale. (...) Le víśaḥ (li) gettano. Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, le víśaḥ sono il cibo. Perciò, le víśaḥ (li) gettano.

 

Le víśaḥ sono solo un cibo e così danno gli armenti come cibo1. I pacchetti di sale sono avvolti con foglie di aśvatthá e così rappresentano gli armenti e le víśaḥ, come cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá:

 

ŚBK, 6, 2, 2, 12-14. Allora gettano (verso) di lui dei pacchetti di sale. Colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, consegue il cibo. (...) Il sale è gli armenti. Infatti, gli armenti sono il cibo evidente. Perciò, divengono dei pacchetti di sale. (I pacchetti di sale) sono avvolti (úpanaddhā) con foglie di aśvatthá. L’aśvatthá è proprio ai Marútaḥ. (...) Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, le víśaḥ sono il cibo. Perciò, sono avvolti con foglie di aśvatthá. I víśyāḥ (li) gettano. Poiché le víśaḥ sono il cibo.

 

Le víśaḥ sono solo un cibo, insieme con gli armenti e come gli armenti. In altri testi, colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, è colpito con il cibo: «Colpiscono da davanti, di fronte. Poiché il cibo è mangiato da davanti, di fronte. Colpiscono alla testa. Poiché il cibo è mangiato dalla (= con la) testa. Colpiscono dalle direzioni. Ottengono per lui il cibo dalle direzioni» (TB, 1, 3, 7, 6 e 7). I quattro officianti colpiscono dalle quattro direzioni (BaudŚS, 11, 12). Il sale rappresenta gli armenti (e le víśaḥ) che generano come cibo: «Prajāpati emetteva le geniture. Le emetteva dal sale – dalla matrice. Il sale (ūāḥ) è la generazione» (MS, 3, 2, 3; anche KS, 8, 2).

 

ŚBM, 5, 2, 1, 22. Allora portano (pongono, K, 6, 2, 2, 18) per lui un trono. Colui il quale ottiene (jáyaty) un posto nello spazio intermedio (con la testa sullo yūpa), ottiene un posto al disopra. Questi uomini (le víśaḥ, K) – dal disotto – lo servono – seduto al disopra. Perciò, portano per lui un trono.

 

«Colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, ottiene un posto al disopraun posto nello spazio intermedio» (ŚBK, 6, 2, 2, 18). Con la testa sullo yūpa, il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono al disopra: così, un trono è portato per loro. Con lo yūpa, gli armenti sono piegati e così sono solo il cibo dell’uomo – al disopra di loro:

 

ŚBK, 4, 7, 3, 1. All’inizio, gli armenti non accondiscesero a questo: che sarebbero divenuti il cibo. Così come sono divenuti il cibo, qui. Loro procedettero eretti, su due piedi. Come quest’uomo, così (procedettero). “In questo modo (ittháṃ), inoltre, non ci possono immolare!”. In questo modo (táto), i Devā videro questa folgore: il palo sacrificale. Lo eressero. Attraverso il timore per esso (per lo yūpa), (gli armenti) erano piegati. In questo modo, erano divenuti su quattro piedi. In questo modo, divenivano il cibo. Così come sono divenuti il cibo, qui. Poiché, inoltre, questi (armenti) rimanevano (’tiṣṭhanta) per questo (per divenire il cibo). Perciò, immolano un armento a uno yūpa – mai senza uno yūpa.

 

AB, 2, 3. Infatti, gli armenti non rimanevano (nātiṣṭhanta) con i Devā, per il cibo, per l’immolazione. Andati via, loro rimanevano, replicando: “Non ci immolerete. Non noi!”. In questo modo, infatti, i Devā avevano visto questo palo sacrificale – la folgore. Lo avevano eretto per loro (per gli armenti). Spaventati da esso (dal palo), (gli armenti) tornavano vicini. Anche oggi lo (= il palo) avvicinano. In questo modo, infatti, gli armenti rimanevano (atiṣṭhanta) con i Devā, per il cibo, per l’immolazione.

 

L’uomo si distingue dagli armenti – dal cibo. Perciò, il brāhmaṇá e lo kṣatrá si distinguono dalle víśaḥ. O fare parte delle víśaḥ – rese un cibo e come gli armenti? O distinguersi – sollevando la testa – e così rendere (per se stessi) le víśaḥ solo un cibo e come gli armenti? Il brāhmaṇá e lo kṣatrá hanno soltanto queste alternative. (Lo kṣatrá è correlato con la testa e la víś è correlata con le altre membra, nello ŚBM, 6, 6, 1, 8 e 10).

 

La testa sulla cima dello yūpa rappresenta l’affermarsi del brāhmaṇá e dello kṣatrá sugli armenti e sulle víśaḥ. Così, il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono al disopra degli armenti e delle víśaḥ – ridotti solo a un cibo. Infatti, solo il cibo è al disotto:

 

PB, 6, 2, 8 e 9. Perciò, gli altri armenti mangiano in basso (o piegati). L’uomo, in alto (o sollevato). Poiché egli è l’ádhipati. Colui il quale così conosca diviene l’ádhipati dei pari.

 

«Colui il quale conosce l’ádhipati diviene l’ádhipati» (PB, 6, 2, 7). I ‘pochi’ dominano i ‘molti’ – gli armenti e le víśaḥ – e così temono che questi ultimi si rivalgano: temono di poterne essere dominati:

 

KB, 11, 3. Come, in questo mondo, gli uomini mangiano gli armenti, come si servono di loro, così, in quel mondo, gli armenti mangiano gli uomini, così si servono di loro. Egli (lo yájamāna) li ottiene, qui, con l’anuvāká del mattino. Ottenuti qui, (gli armenti) non lo mangiano, in quel mondo, non si servono di lui in rivalsa (pratibhuñjate). Come, in questo mondo, (lo yájamāna) li mangia, come si serve di loro, così, in quel mondo, li mangia, così si serve di loro.

 

Nello JB, 2, 182, gli armenti divengono il cibo dell’uomo, in seguito a un patto con lui: «“Possiamo essere i divorati per te”, dicevano». Così, in modo significativo, gli armenti non si rivalgono: «In questo modo (tathā), gli armenti non lo mangiano, in quel mondo».

 

TB – KS – JB

 

Bṛ́has-páti è il puróhita di Índra. Índra diviene al disopra dei Devā:

 

TB, 1, 3, 2, 1 e 2. Loro (i Devā) non rimanevano l’uno per l’altro: “Io posso sacrificare, con questo (vāja-péya)!”. Loro dicevano: “Che (noi) corriamo una corsa per lui (per il vāja-péya)!”. Correvano una corsa per lui. Bṛ́has-páti la vinceva (údajayat). Con questo (vāja-péya), sacrificava. Egli raggiungeva il svārājya2. Índra gli diceva: “Che (tu) mi lasci sacrificare, con questo (vāja-péya)!”. Con questo (vāja-péya), (Bṛ́has-páti) induceva Índra a sacrificare. Egli (Índra) attingeva al culmine delle divinità, raggiungeva il svārājya: (le divinità) rimanevano (átiṣṭhanta) con lui, per il jyaíṣṭhya3.

 

TB, 1, 3, 2, 3. Colui il quale, così conoscendo, sacrifica (per se stesso), con il vāja-péya, raggiunge il svārājya, attinge al culmine dei pari: (i pari) rimangono (tíṣṭhante) con lui, per il jyaíṣṭhya. Questo (vāja-péya) è il sacrificio e del brāhmaṇá e del rājanyá4.

 

KS, 20, 11. Emesse le geniture, Prajāpati desiderava: “Posso essere la loro sommità”. Egli vedeva queste mūrdhanyā5. Con queste (mūrdhanyā), si innalzava. Diveniva la loro sommità (mūrdhā).

 

KS, 20, 11. Colui il quale, così conoscendo, pone (per se stesso) queste (mūrdhanyā) diviene la sommità dei pari.

 

Prajāpati è al disopra delle sue geniture – prima andate verso l’alto e poi piegate. Così, le geniture sono il cibo di Prajāpati.

 

KS, 29, 9. Prajāpati emetteva le geniture. Loro erano andate via da lui. Loro erano andate verso l’alto. Le desiderava: “Possono tornare vicine a me”. Egli ardeva6. Egli immolava se stesso, per il sacrificio. Loro tornavano vicine a lui. Loro erano spaventate6 da lui. Loro erano piegate. Perciò, gli armenti sono piegati. Loro erano andate lontano. Con gli omaggi (balibhir), loro andavano vicine7 a lui: con il devá-yájana8, la terra; con il barhís8, le piante; con le prókṣayaḥ8, le acque; e con l’idhmá8 e con lo yūpa8, gli alberi; con gli armenti, le capre e le pecore (ajāváya); e con il latte miscelato e con il burro chiarificato, le vacche.

 

KS, 29, 9. Infatti, questi Devā portano un omaggio. Prajāpati è il sacrificio. Tutti questi (Devā) gli portano così un omaggio. Portano un omaggio a colui il quale così conosca. Era preoccupato dal loro (= dei Devā) andare via. Avvinceva a se stesso i loro vīryāṇi (vigori) due a due.

 

JB, 3, 213. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro – non concordi9 – andavano via da lui. Egli desiderava: “Gli armenti possono essere acquiescenti a me (abhi ... saṃjānīran). Possono non andare via da me”. Egli vedeva questa melodia. Cantava, con questa (melodia). In questo modo, infatti, gli armenti erano acquiescenti10 a lui. In questo modo, divenivano coloro i quali non andavano via da lui.

 

JB, 3, 213. Gli armenti sono acquiescenti a lui. Gli armenti non vanno via da lui, (da) colui il quale così conosca.

 

5.

Prajāpati assoggetta a se stesso il brāhmaṇá e i suoi armenti, lo kṣatrá e le sue moltitudini. – Prajāpati insedia il brāhmaṇá e il rājanyá al disopra del vaíśya e così il vaíśya è il cibo del brāhmaṇá e del rājanyá. Gli armenti – al disotto dell’uomo – sono il cibo dell’uomo.

 

ŚB

 

ŚBK, 4, 9, 1, 9. Infatti, Bṛ́has-páti è il brahmán. Con il brāhmaṇá, Prajāpati si accresceva. Il brahmán tornava vicino a lui. Si rendeva il brahmán assoggettato a se stesso (ánukamātmáno ’kuruta)1.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 8. Infatti, Pūṣán è gli armenti. Con gli armenti, Prajāpati si accresceva. Gli armenti tornavano vicini a lui. Si rendeva gli armenti assoggettati a se stesso.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 13. Infatti, Índra è lo kṣatrá, il vīryá2. Con lo kṣatrá, con il vīryá, Prajāpati si accresceva. Lo kṣatrá, il vīryá tornava vicino a lui. Si rendeva lo kṣatrá, il vīryá assoggettato a se stesso.

 

ŚBK, 4, 9, 1, 15. Infatti, i Marútasono le moltitudini. (...) Infatti, la moltitudine è l’abbondanza2. Con l’abbondanza, Prajāpati si accresceva. L’abbondanza tornava vicina a lui. Si rendeva l’abbondanza assoggettata a se stesso.

 

ŚBM, 6, 4, 4, 13. Allora circonda da ogni parte e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá questi due várṇau (= e il vaíśya e lo śūdrá) – (li) rende coloro i quali non vanno via.

 

KB – MS – PB – JB – TS – KS – ŚB – TB

 

KB, 12, 8. Emesse le geniture, Prajāpati si pensava come svuotato. (...) Sacrificato con questa (ekādaśínī)3, (Prajāpati) raggiungeva (upa ... āpnod) i desideri – otteneva il cibo. (...) Così, infatti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá, e con lo kṣatrá e con il brāhmaṇá, Prajāpati giungeva ad afferrare (o a circondare) da entrambe le parti, ad ottenere il cibo (’nnādyaṃ parigṛhṇāno ’varundhāna ait)4.

 

I metri gāyatrī e triṣṭúbh sono il brāhmaṇá e il rājanyá, mentre il metro jágatī è il vaíśya – e gli armenti: «Infatti, e gāyatrī e triṣṭúbh sono di certo i più vigorosi tra i metri. In quanto e gāyatrī e triṣṭúbh divengono da ogni parte (e) jágatī – gli armenti – è nel centro, circondano da entrambe le parti per lo yájamāna gli armenti con i metri più vigorosi; per non disperder(li). La ricchezza di colui il quale così conosca non è dispersa» (JB, 2, 248). Anche MS, 3, 1, 5.

 

MS, 4, 7, 8. Emesse le geniture, Prajāpati si pensava svuotato. Egli vedeva quegli indriyāṇi, vīryāṇi (dei Devā). Li legava a se stesso due a due. (...) Ha unito e il brahmán e lo kṣatrá. In quanto i bhūyiṣṭhabhājau5 tra le divinità sono e Agní e Índra. Perciò, i bhūyiṣṭhabhājau tra gli uomini sono e il brāhmaṇá e il rājā.

 

PB, 6, 1, 10. Egli (Prajāpati) dal centro, dal membro emetteva il Saptadaśá; era emesso in seguito ad esso il metro jágatī, la divinità Víśve-Devā, l’uomo vaíśya, la stagione delle Piogge. Perciò, il vaíśya – per quanto divorato – non diminuisce. Poiché è emesso dal membro6. Perciò, inoltre, è con un armento numeroso. Poiché i Víśve-Devā7 (sono la sua divinità) (e) jágatī (è il suo metro). Poiché le Piogge8 sono la sua stagione. Perciò, è il divorato (ādyo) e del brāhmaṇá e del rājanyá. Poiché è emesso più in basso (di entrambi).

 

Il vaíśya genera solo per sostentare il brāhmaṇá e il rājanyá. Il vaíśya è come i suoi armenti. Infatti, gli armenti generano solo come cibo per l’uomo: «Perciò, gli armenti – per quanto mangiati, cotti – non diminuiscono. Poiché li rende stabiliti nella matrice (yónau)» (ŚBM, 7, 5, 2, 2). I «divoranti» si aspettano che i «divorati» siano numerosi – e che non diminuiscano. Prajāpati stesso divora le geniture. Perciò, le geniture generano (PB, 21, 2, 1).

 

JB, 1, 68 e 69. Prajāpati era qui all’inizio. (...) Egli desiderava: “Posso essere molteplice. Posso generare. Posso raggiungere un’abbondanza”. Egli dalla sommità, dalla testa emetteva (...) la divinità Agní, l’uomo brāhmaṇá, l’armento capro. (...) Perciò, inoltre, (il brāhmaṇá) è il capo delle geniture. Poiché (Prajāpati) lo emetteva dalla testa (mukhād). Egli desiderava: “Posso generare”. Egli dalle braccia, dal petto emetteva (...) la divinità Índra, l’uomo rājanyá, l’armento cavallo. (...) Perciò, inoltre, (il rājanyá) è vigoroso (vīrya karoti) con le braccia. Poiché (Prajāpati) lo emetteva dalle braccia, dal petto – dal vigore. Egli desiderava: “Posso generare”. Egli dal ventre, dal centro emetteva (...) la divinità Víśve-Devā, l’uomo vaíśya, l’armento vacca. (...) Perciò, inoltre, (il vaíśya) è prolifico9. Poiché (Prajāpati) lo emetteva dal ventre – dal membro.

 

TS, 7, 1, 1, 5. Dal centro, (Prajāpati) produceva il Saptadaśá. Erano emesse in seguito ad esso le divinità Víśve-Devā, (...) il vaíśya tra gli uomini, le vacche tra gli armenti. Perciò, loro sono i divorati. Poiché erano emessi dal contenente del cibo (= il ventre). Perciò, sono più abbondanti degli altri. Poiché erano emessi in seguito alle divinità più abbondanti (= i Víśve-Devā).

 

Prajāpati stesso rende il vaíśya il cibo del brāhmaṇá e del rājanyá. Così, Prajāpati rende gli armenti e le víśaḥ il cibo del brāhmaṇá e dello kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14).

 

KS, 27, 8. Pone un vīrá nelle geniture divoranti; l’abbondanza, in (quelle) divorate. (Poiché il vīrá è il divorante. [...] Poiché questi uomini – le víśaḥ – sono i divorati, ŚBM, 4, 2, 1, 16 e 17). Perciò, in queste (geniture divoranti) nasce un vīrá. Perciò, le altre – per quanto divorate10non diminuiscono11. Le geniture divoranti sono generate, in accordo con lo śukrá; (quelle) divorate, in accordo con il manthín. (Lo śukrá e il manthín sono questi occhi di Prajāpati. Lo śukrá è il Sole lassù. Il manthín è la Luna, MS, 4, 6, 3).

 

La Luna è il cibo, per il Sole (ŚBM, 1, 6, 4, 18-20). Così, le prajāḥ sono soltanto divoranti o divorate. Infatti, durante la sua consacrazione, il rājanyá è asperso, con l’acqua di quattro vassoi – dei quali uno, di aśvatthá, è portato dal vaíśya:

 

ŚBK, 7, 2, 4, 11. Il vaíśya (asperge, abhíṣiñcati), con (un vassoio) di aśvatthá. L’aśvatthá è proprio ai Marútaḥ. (...) Infatti, i Marútaḥ sono le víśaḥ. Infatti, le víśaḥ sono il cibo12. Perciò, il vaíśya, con (un vassoio) di aśvatthá. (Il vaíśya, con [un vassoio] di aśvatthá. Pone in lui [nel rājanyá] la víś, l’opulenza [púṣṭiṃ], TB, 1, 7, 8, 7).

 

Così, è ricordato al rājanyá quale sia il suo «cibo». Durante la consacrazione: «Asperge da davanti, di fronte. Poiché il cibo è mangiato da davanti, di fronte. Asperge alla testa. Poiché il cibo è mangiato dalla (= con la) testa. Induce (l’acqua) a scorrere sulla bocca. Pone per lui il cibo nella bocca» (TB, 1, 3, 8, 3; TS, 5, 6, 3, 2 e 3).

 

TB, 2, 7, 18, 1 e 2. Infatti, le víśaḥ – i suoi, i Marúta – non rispettavano Índra. Egli – non rispettato – vedeva il vighaná. (...) Con questo (vighaná), sacrificava. Così, la scacciava, la loro tenacia. (...) Infatti, questa è la riuscita dello kṣatrá. In quanto le víśaḥ – i suoi – gli portano un omaggio13 (o un tributo, balí).

 

ŚBM, 1, 3, 2, 15. ...perciò, queste víśaḥ portano un tributo (balí) allo kṣatríya. ...perciò, inoltre, (fino a che) è nel volere (váśe; nell’autorità, īśāyāṃ, K, 2, 3, 1, 13) dello kṣatríya, gli armenti sono a disposizione del vaíśya. ...perciò, inoltre, quando lo kṣatríya desidera, allora dice: “Ciò che è messo da parte lontano per te, vaíśya, che (tu) lo porti per me!”. (...perciò, quando lo kṣatríya desidera [qualcosa] del vaíśya, induce a portar[lo], andato vicino: “Anche ciò che è messo da parte lontano per te, che [tu] lo porti!”, K).

 

Così, il vaíśya è il cibo dello kṣatríya. Il Sóma si distingue da tutte le piante: «Come queste altre piante14, così era il Sóma. (...) Con questa (melodia), raggiungeva il rājyá, l’ādhipatya (su di esse). Diveniva glorioso» (PB, 11, 3, 9).

 

ŚBM, 3, 3, 2, 8. In questo momento (átra), alcuni – trovati una pagliuzza, un legnetto (insieme con il Sóma) – (li) gettano via. Non può fare in questo modo. Infatti, il Sóma è lo kṣatrá. Le altre piante sono la víś. Infatti, la víś è il cibo dello kṣatríya. Come egli può gettare lontano, preso (e) strappato, un introdotto nella bocca (grasitám), così. (Infatti, come un introdotto nella bocca, così diviene per lui14 [per il Sóma], l’altra pianta che qui [átra] diviene ottenuta, K, 4, 3, 2, 7).

 

6.

Il rājanyá è stabilito negli uomini, negli armenti – per l’opera, del rājanyá. Così, insieme con gli armenti, come gli armenti, gli uomini sono per il rājanyá.

 

ŚB

 

ŚBM, 5, 2, 5, 14. Prajāpati emise l’abbondanza, le geniture: “Emessa l’abbondanza, le geniture, posso essere consacrato!”. Allo stesso modo, questo (rājanyá) emette l’abbondanza, le geniture: “Emessa l’abbondanza, le geniture, posso essere consacrato!”.

 

ŚBK, 7, 1, 3, 4. Egli (Prajāpati) emise l’abbondanza di queste geniture. Allo stesso modo, questo (rājanyá) emette l’abbondanza di queste geniture: “Emessa un’abbondanza di geniture, posso essere consacrato1!”.

 

ŚBK, 7, 1, 3, 1. Con questa (offerta), i Devā attinsero agli uomini. Allo stesso modo (dei Devā), con questa (offerta), questo (rājanyá) attinge (úpaiti) agli uomini: “Posso essere consacrato, provvisto degli uomini!”. Poiché, provvisto degli uomini, (il rājanyá) è in grado di fare l’opera (l’azione, kárma) che intende fare (o desidera di fare). Poiché, attraverso gli uomini, egli è in grado (di fare)2.

 

ŚBK, 7, 1, 3, 2. Con questa (offerta), i Devā attinsero agli armenti. Allo stesso modo (dei Devā), con questa (offerta), questo (rājanyá) attinge agli armenti: “Posso essere consacrato, provvisto degli armenti!”. Poiché, provvisto degli armenti, (il rājanyá) è in grado di fare l’opera che intende fare. Poiché, attraverso gli armenti, egli è in grado (di fare)3.

 

ŚBK, 7, 3, 3, 8. Infatti, attraverso la moltitudine, lo kṣatríya ottiene ciò che aspira ad ottenere; attraverso la moltitudine, conquista ciò che aspira a conquistare.

 

ŚBM, 2, 5, 2, 6. Infatti, Váruṇa è lo kṣatrá. I Marútaḥ sono le víśaḥ. Rende lo kṣatrá al disopra della víś. Perciò, questi uomini (le víśaḥ, K, 1, 5, 1, 4) servono (o riveriscono, úpāsate) – dal disotto – lo kṣatríya – seduto3 al disopra.

 

Váruṇa si distingue: «Infatti, con questa (melodia), Váruṇa raggiungeva il rājyá, l’ādhipatya (sui Devā). Diveniva glorioso» (PB, 13, 9, 23).

 

PB – JB – TB

 

PB, 19, 16, 6. Pone la moltitudine, gli armenti sotto il suo4 potere (asmai ... anuniyunakty). La moltitudine diviene colei la quale non va via da lui5.

 

Prajāpati insedia Váruṇa e Índra come sovrani dei Devā. I Devā sono così per Prajāpati (KB, 12, 8). Víṣṇu ottiene gli armenti, per Prajāpati.

 

JB, 3, 152. Infatti, re Váruṇa era in un certo senso sodale con le altre divinità. Egli (Váruṇa) desiderava: “Posso essere consacrato (sūyeya) per il rājyá di tutti i Devā”. Egli dimorava da Prajāpati, in apprendistato, per cento anni. (Prajāpati) gli diceva questa melodia: “Infatti, questa è la mia forma regale. Che (tu li) raggiunga! I Devā ti renderanno un rājā6”. Egli (Váruṇa) andava verso i Devā. Visto mentre andava (āyanta7), i Devā si inchinavano a lui7. Diceva a loro: “Che non (vi) inchiniate a me! Infatti, voi siete i miei fratelli. Infatti, come voi siete, così io sono”. “No”, dicevano, “In quanto, infatti, vediamo in te qui la forma di nostro padre Prajāpati”. Si inchinavano a lui. Per lui, (i Devā) ponevano questo trono regale. In questo (trono), lo consacravano: i Vásavaḥ, per il rājyá; i Rudrā, per il vairājya; gli Ādityāḥ, per il svārājya; i Víśve-Devā, per il sāmrājya; i Marútaḥ, per il sārvavaśya; e i Sādhyāḥ e gli Āptyāḥ, per il pārameṣṭhya.

 

JB, 3, 3. Dapprima, i Devā non rimanevano con Índra, per il śraíṣṭhya. Egli andava da Prajāpati: “Che (tu) me le dia!”. Gli dava queste due: e la paurṇamāsī e l’amāvāsyā8; poneva in lui l’aṣṭakā9. In questo modo, i Devā rimanevano (atiṣṭhanta) con Índra, per il śraíṣṭhya. I suoi rimangono con colui il quale così conosca, per il śraíṣṭhya. Perciò, questa notte (dell’aṣṭakā) tutti (sarva) dimorano completamente soddisfatti (saziati con il cibo). Poiché questa (notte) dimorano in Prajāpati – il padre.

 

JB, 2, 141 e 142. Prajāpati emetteva i Devā. (...) Dava loro e il sacrificio e questi mondi. (...) Poi emetteva Índra. Egli vedeva questo tutto ripartito tra loro. Egli (Índra) diceva: “In quanto questo tutto è ripartito tra loro, allora per quale motivo mi hai emesso?”. Ti ho emesso”, diceva (Prajāpati10), “per il śraíṣṭhya, per l’ādhipatya di questi (Devā)”. “In quale modo io posso essere il migliore (śreṣṭho), l’ádhipati di questi (Devā)?”. “Vai! Che (tu) dica loro”, diceva, “Prajāpati mi ha emesso per il śraíṣṭhya, per l’ādhipatya di (tutti) voi!”. Andato (da loro), egli diceva: “Prajāpati mi ha emesso per il śraíṣṭhya, per l’ādhipatya di (tutti) voi”. Loro dicevano: “Noi siamo i migliori (śreṣṭhā); noi, gli ádhipataya; (noi) che siamo più vecchi (jyeṣṭhā, i fratelli maggiori)!”. Non comprendevano. Tornato indietro, egli diceva: “Quelli non comprendono ciò che tu dicesti”. Egli (Prajāpati) vedeva questo sacrificio. (...) Così, (Prajāpati) lo induceva a sacrificare. Sacrificato, egli (Índra) si scacciava (vyahata) tutti gli avversari. (...) Tutti i Devā da ogni parte, tutt’attorno lo circondavano – vittorioso. I Vásavaḥ, di fronte; i Rudrāḥ, a sud; gli Ādityāḥ, dietro; i Marútaḥ, a nord; i Víśve-Devā, al disopra; e i Sādhyāḥ e gli Āptyāḥ, al disotto; gli Áṅgirasaḥ, da ogni parte11.

 

TB, 2, 7, 14, 1 e 2. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano lontani da lui. Non li otteneva, con l’agní-ṣṭomá. (...) Non li otteneva, con il ṣoḍaśín. (...) Egli diceva ad Agní: “Che (tu) intenda12 ottenerli, per me!”. Agní non li (...) otteneva. Egli diceva a Índra: “Che (tu) intenda ottenerli, per me!”. Índra non li (...) otteneva. Egli diceva ai Víśve-Devā: “Che (voi) intendiate ottenerli, per me!”. I Víśve-Devā non li (...) ottenevano. Egli diceva a Víṣṇu: “Che (tu) intenda ottenerli, per me!”. Víṣṇu li (...) otteneva.

 

 

Note.

 

1.1

1 La śrī è la prosperità, l’eccellenza: «Infatti, Prajāpati emesse le geniture si pensava come svuotato. Le geniture furono lontane da lui – le geniture non rimasero con lui, per la śrī, per il cibo» (ŚBM, 3, 9, 1, 1). I Devā sono le divinità. Índra è come Prajāpati: «All’inizio, la śrī fu in Prajāpati. Índra desiderava: “Questa śrī che è in Prajāpati può essere in me”» (JB, 3, 249). Prajāpati dispone di tutto: «Infatti, quando, all’inizio, Prajāpati diede, Índra rifletté: “Questo (Prajāpati) darà questo tutto. Non lascerà niente per noi”» (ŚBM, 4, 3, 4, 23). Anche ŚBK, 1, 4, 3, 11. «Prajāpati rifletté: “Le mie prime geniture sono perite. Se questi (Marútaḥ) annientano queste (geniture), in questo modo non rimarrà niente per me».

2 Gli armenti sono solo il cibo: le geniture sono il cibo, per Prajāpati, e così sono come gli armenti: «All’inizio, Prajāpati era qui, unico. Egli desiderava: Posso emettere il cibo. Posso generare”. Egli produceva gli armenti dai prāṇā» (ŚBM, 7, 5, 2, 6). Quando emette le geniture e gli armenti, Prajāpati desidera il cibo. «Prajāpati rifletteva: “Come sono stato unico prima, così inoltre sono unico anche adesso”» (ŚBM, 2, 5, 1, 2). «Come le geniture tornavano insieme verso Prajāpati da questi mondi, così gli armenti tornano insieme verso lo yájamāna da questi mondi...» (MS, 1, 6, 6).

3 Anche JB, 1, 221. «so ’syai kāmas samārdhyata». – L’ekādaśínī è un’offerta di undici armenti o vittime. Anche KB, 12, 8. «Sacrificato con questa (ekādaśínī), (Prajāpati) raggiungeva i desideri – otteneva il cibo».

4 Il śrāyantīya è una melodia rituale.

5 Anche JB, 1, 160. «Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: “Gli armenti possono non andare via da me. Possono tornare verso di me”. Egli vedeva questa melodia. Cantava, con questa (melodia). In questo modo, infatti, gli armenti tornavano verso di lui. In questo modo, divenivano coloro i quali non andavano via da lui. Egli diceva: “Infatti, sono divenuto associato con gli armenti!”. (...) Colui il quale così conosca diviene associato – non dissociato – con gli armenti». Prajāpati è samantaḥ (JB, 3, 186) e acchidraḥ (JB, 3, 218) «con la genitura, con gli armenti».

6 L’indriyá è la forza. Anche PB, 16, 5, 23 e 15, 8, 2.

7 Il brahmán è il sacerdote.

8 Anche PB, 16, 3, 8 e 9. «Índra (...) si saziava di tutta la sazietà (sarvāṃ tṛptim atṛpyat). Colui il quale così conosca si sazia, con la genitura, con gli armenti». Índra concorre a formare il ‘carattere’.

9 La forza, il vigore.

10 Anche ŚBM, 8, 4, 3, 20. «Emesse (le geniture), se le introduceva in se stesso. (...) Emesse, (lo yájamāna) se le introduce in se stesso».

 

1.2

1 Lo yájamāna è colui il quale intraprende un sacrificio. Lo yájamāna potrebbe sovrapporsi a Prajāpati (JB, 1, 68 e 69). Anche JB,1, 93. «Gāyatrī è lo splendore brāhmaṇico, triṣṭúbh è l’ója (e) il vīryá, jágatī è la generazione. Provvisto dello splendore brāhmaṇico, provvisto dell’ója (e) del vīryá, colui il quale così conosca genera, attraverso la genitura, attraverso gli armenti».

2 Anche MS, 3, 4, 8. «Molte geniture, molti armenti, molto cibo: diviene migliore (vásīyān)».

3 Anche KS, 24, 9. «I Devā non rimanevano l’uno per il śraíṣṭhya dell’altro. Loro andavano via (divisi) in quattro. (...) Índra è il Sole lassù. Loro (i Devā) rimanevano (atiṣṭhanta) per il śraíṣṭhya di lui. I pari rimangono per il śraíṣṭhya di colui il quale così conosca». Anche TS, 7, 3, 10, 5. – «Infatti, Índra – ucciso Vṛtrá, vinte tutte le vittorie – diceva a Prajāpati: “Che io sia ciò che tu sei! Che io sia grande!”. Prajāpati diceva: “Allora io chi sono?”. “Ciò che hai detto (= Chi)”, diceva (Índra). In questo modo, infatti, Chi diveniva il nome (di) Prajāpati» (AB, 3, 21).

4 Anche TS, 2, 2, 11, 5 e 6. «Índra andava da Prajāpati. Lo induceva a sacrificare, con questa (offerta), per la consonanza. (...) In questo modo, i Devā erano acquiescenti a Índra, per il jyaíṣṭhya. (...) Divenuto Índra, i pari sono acquiescenti a lui, per il jyaíṣṭhya; diviene il migliore dei pari».

5 Oppure, consumava. Anche PB, 21, 2, 1 e 5. «(Con la melodia) con il finale ī, (Prajāpati) (le) divorava (āvayat). (Con la melodia) con il triplice finale, (le) induceva a generare. (...) Infatti, con queste melodie, Prajāpati faceva scorrere (per se stesso, adugdha) tutti i desideri, da questi mondi».

6 «Prajāpati emetteva il cibo. (...) Egli desiderava: “Posso ottenere il cibo”. (...) Con questa (melodia): “È rimasto (sthād), qui! È rimasto, qui!”, otteneva il cibo, da tutte le direzioni (sarvābhyo digbhyo)» (JB, 3, 256). «Divenuto Morte con la bocca in ogni direzione, seguitolo, (i Vásavaḥ) sedevano, guardando(lo), senza avventurarsi vicini (a lui)» (JB, 3, 344).

7 «Egli diviene con il volto (con la bocca) in ogni direzione. In quanto si rende rasato (nivartáyate). Egli diviene così un divorante, come (Ādityá e Agní) sono divoranti» (ŚBK, 1, 6, 3, 10). Anche TS, 5, 7, 9, 4. «Colui il quale edifica Agní con la bocca in ogni direzione divora il cibo in tutte le geniture, conquista tutte le direzioni».

Anche PB, 24, 13, 2 e 3. «Prajāpati emetteva le geniture. Egli diveniva consunto. Consunto, non lo riconoscevano. Egli si ungeva (ā cāṅktābhi cāṅkta). (...) Quando si ungono, si pongono il fulgore in se stessi. Li riconoscono». Anche PB, 10, 2, 1.

8 Oppure, Loro non si sottomettevano (nātiṣṭhanta) a lui, per il śraíṣṭhya. Il śraíṣṭhya è la superiorità, la supremazia. «Così (con questa melodia), li (= gli armenti) intrappolava. Attraverso il śraíṣṭhya, li sottometteva (o dominava)» (JB, 3, 218). Anche JB, 1, 91.

9 «Infatti, il succo andava via da questi mondi. Con l’ākṣāra, Prajāpati lo induceva a scorrere. (...) Perciò, colui il quale, divenuto prima meritevole, può essere poi povero, (costui) può rendere l’ākṣāra la melodia del brahmán. Induce a scorrere in se stesso l’indriyá, il vīryá, il rása» (PB, 11, 5, 10 e 11). Anche PB, 13, 5, 13. «Infatti, la pioggia andava via da questi mondi. Prajāpati la (...) induceva a cadere». Così, MS, 3, 3, 1. «Infatti, la pioggia – il cibo – andava via dai Devā. In questo modo, questo tutto inaridiva. I Devā andavano da Prajāpati. (...) Per loro, (Prajāpati) otteneva la pioggia – il cibo».

10 «I Devā (e) gli Ásurā rivaleggiavano. Allora, in quel tempo, gli ornamenti furono in Prajāpati. Non negli altri Devā. Índra andava da Prajāpati: “Che (noi) vinciamo gli Ásurā!”. Gli dava quest’ornamento. Glie(lo) metteva addosso. Come può mettere addosso un gioiello d’oro, una gemma, una ghirlanda, così lo poneva in alto. (...) Conosciuta (jñātvā) questa forma (di Prajāpati in Índra), gli Ásurā soccombevano – dicendo: “Nostro padre ci uccide! Nostro padre ci uccide!”. In questo modo, infatti, i Devā prosperavano. Gli Ásurā perivano» (JB, 2, 189). «Perciò, portano (= indossano) davanti un gioiello d’oro, una gemma, una ghirlanda» (JB, 2, 12).

 

1.3

1 Il brāhmaṇá (o brahmán) e lo kṣatrá (o kṣatríya) sono il potere sacerdotale e il potere sovrano: i due poteri.

Il brāhmaṇá sugli armenti (ŚBK, 4, 7, 3, 8) e lo kṣatrá sulle moltitudini (ŚBK, 4, 4, 2, 1 e 2) sono come Prajāpati sulle geniture (ŚBK, 4, 9, 1, 3). Infatti, prima átiṣṭhamānāḥ, gli armenti e le moltitudini rimangono poi con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá; così come le geniture rimangono per Prajāpati. Le geniture sono il cibo per Prajāpati (ŚBK, 4, 9, 1, 1-3) e così gli armenti e le moltitudini sono il cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). Le moltitudini sono per lo kṣatrá così come gli armenti sono per il brāhmaṇá.

2 Il rāṣṭrá è il regno. Oppure, il potere regale. Infatti, Bṛ́has-páti – come puróhitaprecede Índra (JB, 2, 128). Anche ŚBM, 4, 1, 4, 4. «“Possa (io) renderti davanti! (Sii di fronte a me!, K, 5, 1, 4, 2)”». – «In quanto le unioni sostengono (bíbhrati) il rāṣṭrá...» (ŚBM, 9, 4, 1, 5).

3 Anche MS, 4, 7, 8. «Ha condotto (átyauhīd) il brahmán davanti (di fronte, purástād) a queste geniture (o a questi uomini). Allora rende queste geniture assoggettate (ánukāḥ) al brāhmaṇá. (...) Avvince la moltitudine allo kṣatrá. Allora rende la moltitudine assoggettata allo kṣatrá».

Anche KS, 29, 9. «Prajāpati – emesse le geniture – si pensava come svuotato. (...) Con questa (ekādaśínī), gratificava se stesso. (...) Aggiunge (adhiviyātayaty) il brahmán negli armenti. (...) Pone le geniture sotto il potere del brahmán. (...) Aggiunge lo kṣatrá nelle geniture (o negli uomini). (...) Pone la moltitudine sotto il potere (anuniyunakty) dello kṣatrá». Anche ŚBK, 4, 9, 1, 12 e 16.

4 La víś sūtá-mukhā è la moltitudine con alla testa il conducente di un carro. La víś è il cibo per lo kṣatríya. Anche ŚBM, 3, 9, 1, 12 e 16. «Perciò, il brāhmaṇá (è colui il quale) ha più potere sugli armenti. Poiché divengono situati davanti (come cibo), situati nella bocca di lui (del brāhmaṇá). (...) Rende il cibo (= le víśaḥ) davanti (di fronte, purástāt) a lui (allo kṣatrá)». Nella versione di Kā, le víśaḥ sono in modo esplicito come gli armenti. «Pone il cibo (= i Víśve-Devā) di fronte. Perciò, il cibo è mangiato di fronte» (TS, 6, 6, 5, 3). Le geniture sono davanti alla bocca di Índra e Índra è come Prajāpati (TB, 2, 2, 10, 6 e 7). Perciò, le moltitudini sono davanti alla bocca di Índra e Índra è come Prajāpati (ŚBK, 4, 9, 1, 3 e 14; K, 4, 4, 2, 2).

Per il brāhmaṇá, con il potere sugli armenti, la víś è come gli armenti: «Così, (i Devā) tornavano insieme verso Índra; erano acquiescenti a Índra» (MS, 2, 2, 6). Gli armenti vanno via e fanno ritorno: «Infatti, lo sperma è versato, “in avanti”; è generato (dopo la gestazione), “indietro”. “In avanti, gli armenti (le vacche, K, 2, 3, 4, 5) si disperdono; indietro, tornano insieme» (ŚBM, 1, 4, 1, 6). Anche PB, 7, 2, 6.

5 La moltitudine è generata e genera, per lo kṣatrá. La moltitudine è il cibo e così è come gli armenti: «Poiché gli armenti sono più numerosi degli uomini. I bhāryāḥ (sostentati) divengono più esigui – gli armenti, più numerosi – di colui il quale, così conoscendo, offre l’agní-hotrá. Infatti, è la prosperità per colui (del) quale, essendo i sostentati più esigui, gli armenti sono più numerosi» (ŚBM, 2, 3, 2, 18). Anche ŚBM, 1, 3, 2, 12 «Poiché è la prosperità (sámṛddhaṃ), dove (yátra) il divorante è esiguo (e) il divorato è numeroso».

6 «Le divinità non rimanevano con Váruṇa, per il rājyá. (...) In questo modo, infatti, loro rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il rājyá. I pari rimangono con lui (con lo yájamāna), per il śraíṣṭhya» (PB, 15, 3, 30). «Váruṇa desiderava: “Posso essere consacrato, per il rājyá di tutti i Devā”. (...) In questo modo, infatti, era consacrato, per il rājyá di tutti i Devā. Colui il quale così conosca è consacrato, per la śréṣṭhatā dei suoi» (JB, 2, 196). Váruṇa concorre a formare il ‘carattere’. Il rājyá è la regalità. Anche JB, 3, 152. Così, BaudŚS, 18, 19. «Morte sacrificò, con questo (sacrificio): “Posso attingere all’aíśvarya, all’ādhipatya, al rājyá delle geniture”. In questo modo, infatti, egli attingeva all’aíśvarya, all’ādhipatya, al rājyá delle geniture».

7 Anche JB, 2, 101. All’inizio, come Prajāpati non ha il ‘potere’ sulle geniture, così Índra non ha il ‘potere’ sui Devā: «Dapprima, i Devā non rimanevano (nātiṣṭhanta) con Índra, per il śraíṣṭhya. Egli andava da Prajāpati...» (JB, 3, 3). Anche JB, 3, 152. «Egli (Váruṇa) desiderava: “Posso essere consacrato (sūyeya) per il rājyá di tutti i Devā”. Egli dimorava presso Prajāpati, in apprendistato, per cento anni...». Anche JB, 2, 409. «Prajāpati – emesse le geniture – si disfaceva. Le divinità andavano via da lui. Índra – tra le divinità – non lo lasciava...».

8 Anche TS, 2, 3, 4, 2 e 3. «Infatti, Índra era il più giovane dei Devā. Egli andava da Prajāpati. (...) Così, (Prajāpati) lo portava al culmine delle divinità». Anche TS, 6, 6, 11, 1-3. «Prajāpati distribuiva i sacrifici ai Devā. Egli si pensava svuotato. Egli pressava per se stesso l’indriyá, il vīryá in sedici parti dei sacrifici. Diveniva il ṣoḍaśín. (...) Infatti, Índra era il più giovane dei Devā. Egli andava da Prajāpati. Gli dava questo ṣoḍaśín. (...) In questo modo, infatti, egli (Índra) attingeva al culmine delle divinità. Colui per il quale, così conoscendo, è preso il ṣoḍaśín, attinge al culmine dei pari». Così, MS, 4, 7, 6.

9 Le āprī sono degli inni rituali.

 

1.4

1 Il vāja-péya è un rituale per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá. Anche TB, 1, 3, 2, 5 e 6. «Prajāpati distribuiva i sacrifici ai Devā. Egli poneva il vāja-péya in se stesso. I Devā gli dicevano: “Il vāja-péya è un sacrificio. Che sia per noi anche in esso!”». – Le víśaḥ – in quanto cibo – sono correlate con una vacca pezzata (ŚBM, 5, 1, 3, 3); così come – in quanto abbondanza – sono correlate con un toro pezzato (ŚBM, 5, 3, 1, 6). «Infatti, le víśaḥ sono il cibo. Perciò, (la vacca pezzata) è ai Marútaḥ» (ŚBK, 6, 1, 3, 3). Anche TS, 2, 1, 6, 2. Così, ŚBM, 5, 5, 1, 10. – Mentre gli armenti, le moltitudini sono il cibo per il brāhmaṇá, per lo kṣatrá in questo mondo, il frumento (ŚBK, 6, 2, 2, 10) rappresenta il loro cibo in quel mondo: «Il frumento non è il riso (e) non è l’orzo. (...) Allora rende per lui quel mondo provvisto di cibo» (TB, 1, 3, 7, 2 e 3). Anche KS, 14, 8 (MS, 1, 11, 8). «Colui il quale giunge a quel mondo, va (via) da questo mondo. In quanto lanciano (arpayanti) i pacchetti di sale, così non va (via) da questo mondo». Anche ŚBM, 7, 3, 1, 8.

2 Il svārājya è la sovranità. «Infatti, colui il quale raggiunge un’abbondanza di armenti, costui raggiunge il svārājya» (PB, 24, 6, 3).

3 Il jyaíṣṭhya è la preminenza. Anche AB, 4, 25. «Infatti, i Devā non rimanevano con Índra, per il jyaíṣṭhya, per il śraíṣṭhya. Egli si rivolgeva a B́has-páti: “Che (tu) mi lasci sacrificare, con il dvādaśāhá!. Lo induceva a sacrificare. In questo modo, infatti, i Devā rimanevano (atiṣṭhanta) con lui, per il jyaíṣṭhya, per il śraíṣṭhya». – Anche ŚBM, 1, 3, 4, 15. «Rende lo kṣatrá al disopra della moltitudine. Perciò, questi uomini servono – dal disotto – lo kṣatríya – seduto al disopra». Così, MS, 4, 7, 5. «...perciò, l’uomo – al disopra (o dal disopra) – mangia gli armenti – in basso». «Innalza (l’uomo) su due piedi negli armenti su quattro piedi. Perciò, (l’uomo) su due piedi sta al disopra degli (o domina gli, adhitiṣṭhati) armenti su quattro piedi» (JB, 1, 213).

4 Il rājanyá (o rājā) è il re. Anche KS, 14, 5 (MS, 1, 11, 5). «In quanto B́has-páti vinceva, perciò il brāhmaṇá può sacrificare. In quanto induceva Índra a sacrificare, perciò il rājanyá (può sacrificare)».

5 Le íṣṭakāḥ mūrdhanyā sono i mattoni afferenti alla sommità. Oppure, Prajāpati non si afferma sulle geniture: «Emesse le geniture, Prajāpati si pensava svuotato. Divenuto un cavallo, egli rimaneva per un anno con la testa in basso situata nella terra. Un aśvatthá sorgeva dalla sua testa (mūrdhna)» (MS, 1, 6, 12). – Anche ŚBM, 4, 5, 3, 1 e 2. «Un tempo, gli esseri superavano Índra. Infatti, gli esseri sono le geniture. Loro furono in un certo senso allo stesso livello con lui. Índra rifletté: “In quale modo io posso stare al disopra di questo tutto (e) questo tutto (ogni altro, K, 5, 6, 1, 2) può essere al disotto di me?”». Anche ŚBM, 5, 4, 2, 5. «Come questa montagna sta al disopra (di questo tutto, K, 7, 3, 2, 5), come il toro sta al disopra degli armenti, così colui il quale sacrifica, con il rājasūya, sta al disopra di questo tutto (e) questo tutto diviene al disotto di costui».

6 «Colui il quale è senza armento è un rovo vecchio. Infatti, come gli armenti non si deliziano nel vecchio rovo, così gli armenti non si deliziano in lui, in colui il quale è senza armento. Infatti, quando Agní arde il vecchio rovo, allora piove su di esso, allora in esso nascono le piante. Allora infatti gli armenti si deliziano in esso. Gli armenti si deliziano in colui il quale così conosca» (PB, 17, 7, 2 e 3). Anche JB, 2, 137.

7 Anche TS, 7, 5, 9, 1. «Con l’ída, (Prajāpati) otteneva da loro l’alimento raccolto». Ma in JB, 2, 412. «Infatti, con l’índa, Prajāpati dava l’alimento – il cibo – alle geniture».

8 Con il sito sacrificale, con l’erba sacrificale, con le acque sacrificali (per l’aspersione), con il legno combustibile e con il palo sacrificale.

9 «“Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, queste geniture non andavano sotto il suo potere (vaśam āyan), non parlavano in accordo con lui (prādhvam avadan). (...) Queste geniture emesse andavano sotto il suo potere, parlavano in accordo con lui”» (VB, 4, 1).

10 Anche ŚBM, 2, 6, 3, 6. Così, ŚBM, 7, 1, 1, 7. «Prajāpati emetteva le geniture. Le emetteva – con differenti amni. Loro non concordavano (le une con le altre). Egli desiderava: “Possono concordare”. Le rendeva con lo stesso amnio. Rendeva il sale il loro amnio. Loro concordavano. Perciò, anche oggi concordano – con lo stesso amnio».

 

1.5

1 Perciò, lo yájamāna è come Prajāpati: «Con il brāhmaṇá, questo (yájamāna) si accresce. Il brahmán torna vicino a lui. Si rende il brahmán assoggettato a se stesso» (ŚBK, 4, 9, 1, 9).

2 In ŚBM, 3, 9, 1, 15. «Infatti, Índra è l’indriyá, il vīryá. Con l’indriyá, con il vīryá, Prajāpati accresceva ancora se stesso. L’indriyá, il vīryá tornava vicino a lui. Si rendeva l’indriyá, il vīryá assoggettato a se stesso».Mentre lo kṣatrá è unico e «distinto», la moltitudine è abbondante («Pone l’abbondanza nella moltitudine») e «indistinta» (ŚBM, 9, 3, 1, 14 e 15). Anche ŚBM, 6, 6, 1, 8.

3 Anche TS, 6, 6, 4, 5. «Prajāpati emetteva le geniture. Egli era sprovvisto del cibo. (...) Con questa (ekādaśínī), infatti, egli otteneva il cibo». Nell’ekādaśínī, Prajāpati immola la vittima a Sárasvatī (Parola) prima della vittima a Sóma (il cibo) e così diviene un divorante: «Perciò, colui il quale è incompleto (solo) con la parola diviene un divorante» (ŚBM, 3, 9, 1, 9).

4 Lett. andava afferrando da entrambe le parti, ottenendo il cibo. Lo yájamāna è come Prajāpati: «Allo stesso modo, così, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá, e con lo kṣatrá e con il brāhmaṇá, lo yájamāna giunge ad afferrare (o a circondare) da entrambe le parti, ad ottenere il cibo» (KB, 12, 8). Anche JB, 1, 287. «Il cibo è afferrato (o circondato) da entrambe le parti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá. Il cibo – afferrato da entrambe le parti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá – rimane vicino (upatiṣṭhate, serve) a lui, a colui il quale così conosca».

5 Il brāhmaṇá e lo kṣatrá hanno di più, ottengono di più, per il cibo di Prajāpati. Anche KS, 29, 10. – Índra e Agní nascondono le geniture di Prajāpati e poi gliele danno indietro (KS, 9, 17). Anche ŚBM, 7, 4, 1, 40. «A loro – “Infatti, che (tu) dia a noi tutto il cibo!”. “Infatti, divenuti le mie due braccia, che (vi) avviciniate!”. “Sì”. – a loro (Prajāpati) dava tutto il cibo. Divenuti le braccia, questi due (Agní e Índra) lo avvicinavano. Perciò, il cibo è fatto, con le braccia; è mangiato, con le braccia. Poiché egli dava tutto il cibo alle braccia». Così, JB, 3, 186. «Índra (e) Agní desideravano: “Possiamo essere uniti. Possiamo prosperare (con) la stessa prosperità”. (...) In questo modo, infatti, questi due divenivano uniti, posperavano (con) la stessa prosperità». Anche JB, 2, 132.

6 Il vaíśya è abbondante come cibo del brāhmaṇá e del rājanyá, e così di Prajāpati (KB, 12, 8). Anche ŚBM, 8, 3, 3, 7 con M, 2, 3, 1, 25 e 26.

7 «Perciò, sono più abbondanti degli altri. Poiché erano emessi in seguito alle divinità più abbondanti (= i Víśve-Devā)» (TS, 7, 1, 1, 5). «Infatti, gli armenti sono la prosperità del vaíśya» (PB, 18, 4, 6).

8 «Infatti, le Piogge sono la moltitudine. Le moltitudini sono il cibo (Infatti, la moltitudine è l’abbondanza. Le Piogge sono l’abbondanza, K, 1, 1, 3, 7)» (ŚBM, 2, 1, 3, 8). Così, le moltitudini sono come gli armenti – come il cibo: «Poiché, quando piove, qui, allora nascono le piante. Le piante mangiate, le acque bevute, in questo modo, diviene (si origina) lo sperma. Dallo sperma, (diviene) larmento (gli armenti, M, 3, 7, 4, 4)» (ŚBK, 4, 7, 4, 3). Lo kṣatrá – il divorante della moltitudine – è l’estate (ŚBM, 2, 1, 3, 7). – Nelle riflessioni più recenti, lo kṣatrá è al disopra del brāhmaṇá: «Perciò, il brāhmaṇá – dal disotto – serve lo kṣatríya» (ŚBK, 17, 1, 4, 11).

9 Il vaíśya è il cibo e così è come gli armenti: «Gli armenti di colui il quale così conosca divengono senza malattia, prolifici» (JB, 3, 24). Se il vaíśya è prolifico, allora il cibo per il brāhmaṇá e per il rājanyá è abbondante. Il brāhmaṇá e il rājanyá desiderano che il vaíśya – il loro cibo – generi. Così, il brāhmaṇá e lo kṣatrá desiderano che il cibo – gli armenti e le moltitudini – sia situato davanti a loro (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). L’uomo genera – come gli armenti, per la purezza rituale (medhyatvá): «Gli armenti divengono (si originano) in silenzio, in un certo senso. Loro sono médhyā. In quanto si avvicina alla moglie, in silenzio, diviene così più médhya. Fatto (il suono) hí, può avvicinarsi. Poiché così in un certo senso gli armenti si avvicinano (alle femmine), per il medhyatvá» (MS, 1, 8, 7). – «Egli emetteva le geniture dal membro. Perciò, queste (geniture) sono abbondanti. Poiché le emetteva dal membro» (TB, 2, 2, 9, 6). Infatti, le geniture sono solo il cibo, per Prajāpati (TB, 2, 2, 10, 7).

10 Il vaíśya è generato e genera come cibo per il brāhmaṇá e per il rājanyá: «Perciò, il vaíśya – per quanto divorato – non diminuisce. Poiché è emesso dal membro» (PB, 6, 1, 10). Così come le geniture sono generate e generano solo come cibo per Prajāpati: «Egli diceva: “Che torniate vicine a me! Infatti, vi divorerò, in modo tale che – per quanto divorate – più numerose [abbondanti] genererete» (PB, 21, 2, 1). Gli armenti sono generati e generano solo come cibo per l’uomo. E per i Devā: «(Il migliaio di vacche) diceva: “Infatti, sono spaventato dalla diminuzione”. “No, dicevano (i Devā), Infatti, ti divoreremo, in modo tale che – per quanto mangiato, bevuto – non diminuirai (na keyasa) per noi» (JB, 2, 254).

11 Come gli armenti: «Perciò, gli armenti – per quanto divorati – non diminuiscono» (KS, 28, 6). Anche TS, 6, 4, 10, 5. «Infatti, queste (geniture) suvīrāḥ sono quelle divoranti. Queste (geniture) suprajāḥ sono quelle divorate. La genitura di colui il quale così conosca nasce (come) divorante – non (come) divorata». Il vīrá è Prajāpati, in quanto è unico, come Prajāpati, e il suo cibo è numeroso, come il cibo di Prajāpati: «Questo (rājanyá) è il suo (= di Prajāpati) nédiṣṭha. Perciò, unico, (il rājanyá) è il signore di molti» (ŚBK, 6, 2, 1, 7).

12 Anche il già citato ŚBK, 6, 2, 2, 12-14, dove le víśaḥ – correlate con l’aśvatthá – sono solo il cibo e come gli armenti. Nella TS, 3, 5, 7, 2 e 3, i due poteri sono innalzati nella víś – rappresentata dall’aśvatthá: «I Marútaḥ sono la víś. La víś è il cibo. L’aśvatthá è proprio ai Marúta». Anche ŚBK, 7, 3, 3, 16. Lo yūpa rende gli armenti al disotto dell’uomo (ŚBK, 4, 7, 3, 1) e il brāhmaṇá, lo kṣatrá al disopra delle víśaḥ (ŚBM, 5, 2, 1, 22; K, 6, 2, 2, 18). Infatti, il brāhmaṇá e lo kṣatrá fanno salire la loro testa sulla cima dello yūpa: «La testa è innalzata nelle altre membra. (...) Colui il quale così conosca diviene innalzato negli altri suoi (= negli altri uomini che gli appartengono). La testa è al disopra delle altre membra. (...) Colui il quale così conosca diviene al disopra degli altri suoi» (JB, 1, 254). Anche, ad esempio, ŚBM, 4, 2, 4, 20. «Perciò, dicono (di) colui il quale diviene il migliore di un luogo: “Quello è il capo (śíra) di quel luogo”». Così, Índra si sovrappone al corpo senza testa di Víṣṇu (ŚBM, 14, 1, 1, 12).

13 Anche, ad esempio, ŚBM, 1, 5, 3, 18 e 20. «Induce il divorato a portare un tributo al divorante. (...) Innalza il divorante nel (sul) divorato». – «Il rājā il quale le víśaḥ possono non rispettare, il brāhmaṇá il quale può essere avvolto dal buio, dal male, costui può sacrificare, con questo (vighaná (TB, 2, 7, 18, 2). Anche PB, 19, 19, 1. «Egli (Índra) andava da Prajāpati. Gli dava il vighaná. Così, (Índra) si scacciava tutti gli avversari».

14 Anche JB, 3, 15. «Infatti, re Sóma era in un certo senso sodale con le altre divinità. Egli desiderava: “Posso essere consacrato per il rājyá di tutti i Devā”». Anche ŚBK, 4, 9, 3, 5. – Anche ŚBK, 4, 8, 1, 5. «Infatti, come un introdotto nella bocca, così diviene per lui (per Agní), (l’armento) attorno al quale rendono Agní».

 

1.6

1 Oppure, possa (io) essere consacrato. Anche TS, 7, 5, 8, 3. «Prajāpati emetteva le geniture. Egli desiderava: Io posso attingere al loro rājyá». Anche JB, 2, 411.

2 «In quanto, provvisto degli uomini, (egli) è in grado di fare l’opera che intende fare» (ŚBM, 5, 2, 5, 4).

3 La versione di Kā – forse per dare rilievo alla parità tra moltitudini e armenti di ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14 – omette il passo: «In quanto, provvisto della gloria, (egli) è in grado di fare l’opera che intende fare» (ŚBM, 5, 2, 5, 12). – Il trono è ottenuto con lo yūpa (ŚBM, 5, 2, 1, 22) e con il carro (ŚBM, 5, 4, 4, 1). Anche ŚBM, 5, 2, 1, 18 e 19 con M, 5, 4, 3, 20 e 21. Con lo yūpa, gli armenti sono un cibo, insieme con le víśaḥ (ŚBM, 5, 2, 1, 16 e 17); con il carro, il rājanyá simula di prendere cento o più vacche allo sváḥ (ŚBM, 5, 4, 3, 9-12; K, 7, 3, 3, 9-11).

4 Del rājanyá.

5 Anche ŚBM, 9, 4, 3, 9. «Lo kṣatrá è – di queste acque – quelle che (si) muovono, attraverso un incavo (khāténa). Allora queste moltitudini sono quelle che scorrono». Le acque rimangono per Índra: «Loro rimanevano (atiṣṭhanta) con lui. Le afferrava – rimaste, (ritornate, K, 4, 9, 4, 12) – nel (proprio) petto» (ŚBM, 3, 9, 4, 15). Anche ŚBM, 5, 3, 4, 21. Anche PB, 19, 6, 3. «Gli armenti divengono coloro i quali non vanno via da lui».

6 Prajāpati insedia Váruṇa e Índra. Così, Índra – per il ‘potere’ sui Devā – va da Prajāpati – con il ‘potere’ sulle geniture (JB, 2, 100). Il ‘potere’ di Váruṇa e di Índra sui Devā – del rājā sulle moltitudini – è da Prajāpati sulle geniture (JB, 2, 100). Prajāpati insedia anche Bṛ́has-páti come puróhita dei Devā: «Infatti, i Devā non avevano fiducia in Bṛ́has-páti. Prajāpati lo induceva a sacrificare, con questo (savá). In questo modo, (i Devā) avevano fiducia in lui» (KS, 37, 7). Anche, su Índra, KS, 37, 8.

7 Le geniture temono Prajāpati: «Loro erano spaventate da lui. Loro erano piegate. Perciò, gli armenti sono piegati» (KS, 29, 9). «Loro erano insorte (si erano sollevate, ud ... ayodhas) contro di lui» (PB, 7, 5, 2). Lo kṣatríya è come Prajāpati: le moltitudini si inchinano a lui: «Perciò, inoltre, questi uomini – le moltitudini – si inchinano allo kṣatríya mentre va (e) lo servono – dal disotto» (ŚBM, 3, 9, 3, 7). Perciò, Prajāpati assoggetta a se stesso tutti i Devā (ŚBM, 3, 9, 1, 7-19). Solo colui il quale sacrifica, con il vāja-péya, non si inchina a nessuno (TB, 1, 3, 9, 2; PB, 18, 6, 12). Gli armenti sono per B́has-páti e così le moltitudini sono per Índra – formato da B́has-páti (ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14). Anche AB, 4, 3. «Perciò, stabilito negli armenti, l’uomo e li divora e sta al disopra (di loro, adhi ... tiṣṭhati) e (sono) nel suo potere». Anche ŚBM, 9, 3, 1, 15. Così, il vaíśya è «il tributario di un altro, il divorato di un altro, l’oppresso quanto si desidera» (AB, 7, 29).

8 La notte della Luna piena e quella della Luna nuova.

9 L’ottavo giorno dopo la Luna piena.

10 Prajāpati tiene per se stesso la tanūḥ gialla (il colore giallo) e poi la dà a Índra – al rājanyá dei Devā: «La dava a Índra. Con questa (tanūḥ gialla), Índra raggiungeva il jyaíṣṭhya» (JB, 1, 192). I peli della pelle di una tigre sono ocra: «Distende (per il rājanyá) la pelle di una tigre. (...) La tigre è questo aspetto (questa forma, MS, 4, 4, 4) di Morte» (TB, 1, 7, 8, 1). Anche MS, 4, 7, 6.

11 In JB, 2, 25 Ādityá è il rājā e ispira Váruṇa di JB, 3, 152 («In questo [trono], consacravano questo Ādityá: i Vásavaḥ, per il rājyá; i Rudrā, per il vairājya...») e Índra di JB, 2, 139 («In lui, le direzioni aspiravano ad una parte. Come in un rājā vittorioso aspirano ad una parte, così. Diceva loro: “Che (voi) mi diate un’elargizione!”»). «Egli (Ādityá) desiderava: “Le stagioni possono non andare via da me. Possono tornare verso di me”. (...) In questo modo, infatti, le stagioni non andavano via da lui. In questo modo, tornavano vicine a lui» (JB, 3, 134). Anche ŚBM, 9, 5, 1, 35-37.

«Loro (le divinità) dicevano: “Che noi rimaniamo (tiṣṭhāmahai) l’una per la śréṣṭhatā dell’altra! Che (noi) aspiriamo a lui, a colui il quale ci possa guidare!”. Loro – andate da Prajāpati, il procreatore – dicevano: “Che noi rimaniamo l’una per la śréṣṭhatā dell’altra! Che (tu) lo emetta per noi, colui il quale ci possa guidare (īśātā)!”» (JB, 3, 364). Così, Índra diviene il rājā delle divinità: «In questo (trono), lo consacravano. (...) Essendo così, Prajāpati – il padre – si prostrava a lui (a Índra)» (JB, 3, 367 e 368).

12 Oppure, “Che (tu) cerchi di ottenerli, per me!”. Anche KS, 10, 11. «Emessi gli armenti, Prajāpati rendeva Pūṣán il loro adhipā. Loro erano andati via da lui. Pūṣán li inseguiva, a piedi. Dove loro (gli armenti) erano stati, trovava – nato – il legume selvatico. Strappato, lo portava via. Con questo (legume), si rivolgeva a Prajāpati: “Con questo (legume), che (tu) proceda prima di me! Infatti, questi armenti si avvicineranno ancora a te”». Anche MS, 2, 2, 4.

 

Commento. I passi ŚBK, 4, 9, 1, 10 e 14 significano sia che il ‘potere’ da Prajāpati (le geniture rimangono per lui e sono il suo cibo) è completo – sugli animali-armenti con il brāhmaṇá e sugli uomini-moltitudini con lo kṣatrá – sia che gli armenti e le moltitudini sono analoghi: il ‘potere’ sulle moltitudini dello kṣatrá è analogo a quello sugli armenti del brāhmaṇá: gli armenti e le moltitudini rimangono per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá (sono situati davanti a loro e sono un cibo nella loro bocca). Anche ŚBK, 6, 2, 2, 12-14. I passi ŚBK, 7, 1, 3, 1 e 2 significano sia che gli uomini e gli armenti sono analoghi per il rājanyá (sono solo per l’opera del rājanyá) sia che il ‘potere’ del rājanyá è completo – sugli uomini e sugli animali-armenti. Il rājanyá è come Prajāpati (ŚBM, 5, 2, 5, 14) e ‘unisce’ il brāhmaṇá sugli animali e lo kṣatrá sugli uomini (KB, 12, 8).

 

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